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I paradossi dell'Olandese Volante

L’arrampicata _outdoor_ è un’attività principalmente culturale, e solo accessoriamente sportiva. Accessoriamente sportiva nella misura in cui, laddove tutto è convenzionale (il tracciato di una via; le modalità di assicurazione; le modalità stesse della salita, ossia nel nostro caso il _rotpunkt_), l’effettiva riuscita fisica del _rotpunkt_ stesso è solo il passo ultimo (e coronamento) di tutta la costruzione culturale.

Mentre _indoor_ si può vivere il _lead_ in maniera del tutto sportiva e sicura, esattamente come si vivono il calcio e il nuoto (senza che nessuno si domandi nulla sulla lunghezza delle vasche, sulla salubrità dell’acqua o sulla stabilità di una traversa), _outdoor_ si rende necessario un certo grado di consapevolezza culturale e responsabilità personale.

Già Jolly aveva parlato del “dualismo sport/non-sport nella scalata” "qui":http://www.climbook.com/articoli/1271-etica-il-dualismo-sport-non-sport-nella-scalata. In generale, chi inizia a scalare in palestra tende a riportare anche in ambiente la stessa mentalità che ha acquisito: il che comporta un generale senso di sicurezza, ma soprattutto l’idea che quella sicurezza è stata garantita da altri. Come in palestra pago, quindi pretendo (e delego) la sicurezza, così in falesia _qualcuno_ ha attrezzato le vie, e quel _qualcuno_ avrà provveduto a renderle perfettamente sicure; io dovrò solo provvedere alle mie manovre di base.

Fermo restando che, di per sé, in falesia bisogna poter volare in tutta sicurezza per cercare il proprio limite, su vie ben attrezzate e senza terrazzini, tuttavia bisogna interiorizzare l’idea che, quando si sta in ambiente naturale, che sia roccia su mare o in montagna, che sia una pista da sci di qualunque tipo, siamo noi i responsabili della nostra sicurezza: non dobbiamo delegare, non dobbiamo cercare rassicurazioni, proiettare responsabilità su altri[1]. Ne parlava, in termini generali ma partendo da incidenti sulle piste da sci, Luca Grazzini "qui":https://www.raiplay.it/video/2019/01/Incidenti-in-montagna---11012019-b64d5718-8016-40a7-9458-0f065d8cc9be.html.

Dicevamo che l’arrampicata _outdoor_ è un’attività principalmente culturale; essa si manifesta in tantissime forme, ma come è noto deriva dall’alpinismo di epoca pre-spit/fix, ossia con protezioni mobili e chiodi; alpinismo che ancora oggi è ampiamente praticato. Essendo l’arrampicata molteplice e sfaccettata, praticarla nelle sue varie forme aiuta ad aumentare la consapevolezza, a coglierne i volti da più angolazioni: chi chioda, sa quanto possa essere assurdamente resistente un fix; chi fa alpinismo, sa che un chiodo potrebbe richiedere una ribattuta col martello, perché gli sbalzi di temperatura a volte tendono a cacciarlo fuori -e, in generale, che non è sempre bene fidarsi ciecamente delle protezioni che si trovano sul posto: difficilmente, trovando un friend già messo in una fessura, lo useremmo per appenderci.

Ora, il bello di una via attrezzata a fix vicini, ossia una via cosiddetta “sportiva”, come si trovano in falesia, è proprio il minimizzare ogni tipo di pericolo e pensiero al punto da poter provare la via al limite. La sosta, mentre su vie alpinistiche può essere a chiodi o friend, in falesia è, e dovrebbe essere sempre, su fix/fittoni a prova di bomba, con un bell’anello su cui, volendo, possiamo anche fare tutto il _top rope_ che vogliamo. Ma siamo pur sempre in ambiente, e dobbiamo ricordare alcune cose: ad esempio, specie se siamo vicini al mare o in presenza di importanti scoli d’acqua, anche in falesia è bene controllare che le protezioni siano ancora affidabili e non corrose; se dobbiamo attrezzare un _top rope_ per far scalare da secondo qualcuno, è bene controllare al meglio lo stato della sosta e dell’anello in cui si sta facendo scorrere la corda -e, peraltro, se io sto per farci _top rope_ devo essere assolutamente sicuro che chi me lo sta attrezzando sappia cosa sta facendo, e nel dubbio devo potergli chiedere su cosa è passata la corda a cui appenderò la mia vita.

Nel 2021, in una falesia di monotiri trad sul mare, alcuni ragazzi hanno attrezzato un _top rope_; purtroppo, la maglia rapida in cui era passata la corda ha ceduto, facendo precipitare la ragazza che scalava, che si è fratturata alcune vertebre. Senza stare a giudicare troppo, in generale in una condizione del genere sarebbe stato fondamentale a) fare una ricerca su fonti affidabili e recenti riguardo le vie di più recente richiodatura delle soste; b) considerare sempre che in una falesia posta a ridosso del mare il materiale è da controllare col massimo del sospetto, specie nel caso di maglie rapide, che offrono meno garanzie di un anellone da gruppo sosta omologato. In quella stessa falesia, difatti, non è raro trovare sistemi di sosta rinforzati (nei più vari e disperati modi) da ripetitori quantomeno più prudenti.

Nel 2016 un forte scalatore romano desiderava provare Totem, 8a+ storico del Gabbio, a Ferentillo. Purtroppo, la via aveva una chiodatura a tratti fatiscente, specie sui punti cruciali; ma lui risolse il problema portandosi appresso un trapano e qualche fix, riportando in sicurezza la via.

Tutti gli alpinisti hanno (chi più, chi meno) cognizione dei rischi che vanno ad affrontare, e portano spesso almeno un martello per ribattere i chiodi instabili o piantarne di nuovi: il martello diventa quasi il simbolo della propria indipendenza, della responsabilità sulla propria sicurezza che ci si deve assumere in parete. Supponiamo però che uno scalatore “sportivo” voglia andare a ripetere una vecchia via in una falesia marina semiabbandonata: La Cura dei Tendini al settore Muro Bianco a Sperlonga, per esempio. Questo nostro scalatore dovrà, a ben vedere, andare su La Cura dei Tendini con un approccio molto simile a quello dell’alpinista: cautela totale, valutazione delle protezioni, nonché un bel trapano con dei fix inox per sostituire quelli marci che incontrerà. Solo una volta compiuto il restauro della sicurezza (che dubitiamo avverrà in libera!), potrà godersi “sportivamente” quell’itinerario. Sicuramente, se andrà invece con l’idea che _qualcun altro_ avrebbe dovuto sistemarla, rischierà di farsi male.

Con ciò non vogliamo davvero dire che qualunque scalatore di falesia dovrebbe portarsi il trapano così come ogni alpinista si porta il martello[2]; ma, essendo due sfumature della stessa disciplina, peraltro nello stesso ambiente (dove l’unica cosa che cambia sono le protezioni), l’atteggiamento di responsabilità deve essere affine.

Se lo scalatore va a provarsi La Cura dei Tendini, cade e il fix anziché tenerlo si spezza, non potrà sicuramente dare la colpa e proiettare la responsabilità dell’incidente su qualcuno (contro chi urlerà, oltre che contro qualche santo? Andrea Di Bari? Bruno Vitale?); sarà solo e soltanto responsabilità sua.

Per fortuna, queste cose solitamente non succedono in falesia, perché di fatto _qualcuno_, anzi _qualcun altro_ si prende cura delle vie (e le falesie sarebbero molto meno frequentate); ma sono discorsi di cui bisogna essere consapevoli.

La ragazza dell’incidente come primo istinto aveva lanciato accuse contro gli attrezzatori delle vie, “che non si prendono cura del posto”. Come detto, è un atteggiamento psicologico diffuso: _qualcun altro_ deve prendersi cura delle vie, _qualcun altro_ deve far sì che io non mi faccia male.

*Il pensiero comunemente diffuso è questo: se io chiodo una via, sono condannato per l’eternità alla sua manutenzione; se apro una via lunga, sono legato ad essa per sempre, ergastolano che ogni anno dovrà ritornare a valutare lo stato delle protezioni; se attrezzo un settore, come uno spirito maledetto, dovrò per sempre aleggiarvi attorno, sistemarlo e curarlo,* responsabile di ogni evento, di ogni incidente che vi avverrà.

Sebbene, nei fatti, molti chiodatori facciano anche manutenzione sulle vie da loro attrezzate (si pensi alla maniacale attenzione di Maurizio Oviglia, sempre su e giù per la Sardegna a chiodare e richiodare), ciò non può togliere l’unica verità di base: che i responsabili nell’arrampicata outdoor siamo e dobbiamo essere solo noi. Non esiste che io mi faccia male in una falesia trad sul mare e, pur nella rabbia di un incidente terribile, dia la colpa a un Oviglia.

Anche perché questo pensare comune porta automaticamente a *un enorme paradosso: anche ammettendo che chi chioda sia automaticamente responsabile delle sue vie, ammettendo questo legame spettrale tra chiodatore maledetto e luogo infestato, i chiodatori non sono immortali. E allora viene in mente quella frase dei Pirati dei Caraibi, in cui “Sputafuoco” Bill Turner ricorda che la nave maledetta, l’Olandese Volante, “deve sempre avere un capitano”.* Si gratti un po’ Oviglia e si grattino tutti gli altri; ma quando tra cent’anni Oviglia non ci sarà più, allora che si dovrà fare, secondo la gente? *Si dovrà andare dal notaio e nominare un nuovo Oviglia?* E allora, forse, “Oviglia” non sarà più un nome, bensì un titolo, corrispondente a “chiodatore manutentore di una falesia”. E ci sarà l’Oviglia di Sardegna, ci sarà l’Oviglia di Finale; ci sarà forse l’Oviglia di Tutti gli Abruzzi, e magari ci sarà anche l’Oviglia d’Italia, l’Oviglia Nazionale.
O forse, si dovrà fare i conti col fatto che siamo noi, sempre noi, a dover aprire gli occhi; ringraziare tutti gli Oviglia del mondo, ma non darli mai per scontati.

• Emanuele Avolio

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fn1. Questo anche se, per l’assurda legge italiana, se mi faccio male su un terreno privato, potrei denunciare il proprietario come responsabile del mio incidente.

fn2. Si ricordi sempre che in ogni operazione di restauro di protezioni fisse è sempre opportuno rispettare la volontà dell’apritore, senza modificarne numero e (salvo vistosi errori in attrezzatura) posizione.


Link utile: https://www.planetmountain.com/it/notizie/arrampicata/sicurezza-dei-fix-per-larrampicata-in-ambiente-marino.html


(In foto: rinvio fisso collegato al fix inox tramite maillon d'acciaio zincato. Unire zincato e inox comporta l'arrugginimento dello zincato, che in casi come questo comporta a) che il fisso è inutilizzabile b) che la maglia è ormai inapribile, rendendo inutilizzabile anche il fix inox. I rinvii fissi hanno spesso problemi di questo tipo, oltre a richiedere una auspicabile manutenzione della fettuccia -che, in caso di maillon arrugginito, non può essere sostituita! Sarebbe auspicabile, quando possibile, mettere dei fissi di maglie di catena, magari omologati, e certamente dello stesso metallo della protezione. Foto di M. Oviglia)

Commenti

Utente eliminato ∙ 2 anni fa

Commento eliminato

JT Buck
JT Buck ∙ 2 anni fa

non per fare polemica ma a me è sembrata una sicura perfetta: dinamica (il ragazzo che è volato non ha neanche toccato la parete) al punto giusto (dando per buono le distanze da te stimate, 13-9=4m dal suolo, che non mi sembrano pochi).
Diverse volte facendo sicura, sono andato a sbattere al primo rinvio ed il grigri non mi si è mai sbloccato, ovviamente tengo sempre la corda che esce dal gri con la mano...magari sono stato sempre molto fortunato...

Macu
Macu ∙ 2 anni fa

La via in questione é Inerzia, lo scalatore sono io. La sicura che mi hanno fatto è stata impeccabile. Personalmente non ho mai visto qualcuno arrivare a terra a causa del grigri bloccato al primo rinvio ma al contrario ho visto tante caviglie e talloni rotti a causa di staticate. Mi permetto di farti notare inoltre che ieri tutti in falesia hanno sentito le bestemmie della persona che tu assicuravi su 37 secondi, perché non gli arrivava corda o non veniva bloccato quando lo chiedeva. Quindi diciamo che un'altra buona norma di sicurezza è prestare attenzione mentre si fa sicura.

Riccardo Corradi
Riccardo Corradi ∙ 2 anni fa

senza entrare nel merito della polemica che trovo totalmente decontestualizzata all'articolo mi scuso per le bestemmie, ci tengo a precisare che non erano rivolte a chi mi faceva sicura ma a coloro che facevano casino in falesia, spesso mi chiedo perché frequento sempre gli stessi posti e la risposta è sempre la stessa: evitare la bolgia (devo essere solo io a fare casino ;) ), l'attenzione in falesia è fondamentale ma chi mi assicurava non sentiva i miei comandi... meglio scalare su uno spit marcio messo negli anni 80 che con l'assicuratore che sente fischi per fiaschi, ma tranquillo sto incolpando solo me stesso dalla settimana prossima si torna nelle solite falesie... buone scalate a tutti e volate sereni (non è sarcasmo)

Stock Atso
Stock Atso ∙ 2 anni fa

Chi concorda pienamente con le parole di Macu?
Stock Atso!!!
A noi piacciono i voli lunghi, le sicure dinamiche e le caviglie sane

Angelo Masci
Angelo Masci ∙ 2 anni fa

Più che mancanza di regole, MANCANZA DI REGOLAMENTAZIONE

Purtroppo come già lungamente discusso da altri e in altre sedi, quello che manca in Italia è la mancanza di regolamentazione.
Il nodo gordiano del problema è che la tracciatura e/o la manutenzione di itinerari in ambito arrampicata sportiva è demandata a singoli privati (il più delle volte), mancando invece una figura professionista demandata a quest'attività.
Personalmente nonostante io mi consideri un arrampicatore "fai da te" (ad esempio ho sempre con me una chiave da 17 per dare una stretta agli spit mobili che incontro di tanto in tanto) mi guardo molto bene a mettere mano al trapano perché considero il rapporto tra il chiodarore e una via chiodata a tratti sacro.
Prendiamo ad esempio una via come "Polvere di stelle" che è stata recentemente richiodata (molto bene a mio avviso avendola ripetuta) sollevando però un polverone derivante dal fatto che ora si apre chiaramente la possibilità di una methode che in apertura si era appositamente voluto evitare (su questo non voglio far polemica).
La chiodatura di una via, nonostante non alteri (o non dovrebbe) il grado, altera invece molto l'esperienza generale di arrampicata, uno spit messo più in basso o più in alto o più a destra piuttosto che a sinistra a volte possono far perdere la natura stessa di un itinerario; pensiamo per un secondo ai settori storici di Ceuse, cosa sarebbero se fossero stati spittati ogni metro e mezzo come in molte falesie del centro Italia?
Per cui alla domanda "ogni scalatore dovrebbe avere un trapano e occuparsi nel suo piccolo della manutenzione di una via?" La risposta che darei su due piedi sarebbe NO.
Non dimentichiamoci che la roccia offre una quantità limitata di chiodature e anche qui è importante pensare al fatto che ciò che tracciamo oggi è quello che stiamo lasciando alle future generazioni di arrampicatori e qui entra in gioco tutto il discorso della sostenibilità dell'arrampicata che in pochi fanno.
In quest'ottica non è così estremo pensare a chi come Imbrosciano è contro l' uso della magnesite in falesia: quanti a Roma possono dire di aver fatto "Druido" a vista se ogni domenica ci sono 30mila segni di magnesite oltre alle "macchie" che sono oramai indelebili.
Tornando alla chiodatura io penso che ad oggi prima di mettere mano al trapano (soprattutto in fase di richiodatura) bisogna pensare davvero bene e ancora più importante mettere prima MANO AL PORTAFOGLIO.
A questo proposito vorrei citare una falesia che ho visitato recentemente (per non sollevare polemiche) "Roccadoria Monteleone" che risente di un'usura del materiale PARI a quelle di falesie in riva al mare. In questa falesia sono stati recentemente richiodati itinerari storici e chiodati nuovi itinerari, il tutto è stato fatto a regola d'arte usando fittoni inox certificati. Ciononostante penso: non sarebbe stato meglio usare fittoni in titanio? Le vie sarebbero state eterne e mai più da richiodare, ciò non è stato fatto per ovvi motivi economici e non mi sento nemmeno di criticare chi ha operato in tal senso dal momento che molto probabilmente il lavoro è stato fatto privatamente e qui torniamo al problema sopracitato e ci ricolleghiamo al discorso della sostenibilità.
Sono sicuro che questi sono concetti che già tutti abbiamo ben chiaro in mente, ma che spesso ci dimentichiamo di tenere in considerazione e così facendo ci ritroviamo con falesie attrezzate di recente con soldi comunali e materiale da ferramenta.

Iarwain
Iarwain ∙ 2 anni fa

Al di là di ogni argomentazione possibile, penso che quello della limitatezza delle richiodature possibili e della sostenibilità sia il tema fondamentale, che deve fare da solco per ogni soluzione a questa problematica.

Breddi
Breddi ∙ 2 anni fa

[OFF TOPIC ma rispondo al commento di Angelo] Per quanto mi riguarda (e sottolineo che non sono NESSUNO) la chiodatura in falesia NON DOVREBBE mai e poi mai impattare sulla difficoltà (e quindi sui movimenti) della via. Il gesto arrampicatorio è un gesto fisico, atletico e in quanto tale dovrebbe essere libero da sovrastrutture arteffate.
Spesso invece (sopratutto al centro sud) ci sono chiodature fatte appositamente per rendere più difficili i passi. E non parlo solo di psciologia.
Accennavi a Ceuse (ma potremmo anche parlare di Finale o altri posti del nord): sono falesie dove tutto è chiodato lungo, su tutte le vie (SOPRATUTTO SU OGNI GRADO) e lungo tutta la via. E' un approccio "orizzontale", può non essere condivisibile ma è assolutmante comprensibile.
Quello che per me è inaccettabile è quando la chiodatura è fatta apposta per "creare problemi".
Detto ciò: rispetto e apprezzo tutti chiodatori a cui va sempre e comunque il mio plauso. E con cui FACCIO PIPPA a prescindere. Ma il mio pensiero resta.

PS a titolo di esmpio: Slayer a Colle dell'orso è chiodata appositamente lunga, in particolar modo sull'uscita dalla sequenzina di resistenza dove ci sarebbe persino un riposo per moschettare, invece no bisogna fare un piccolo passo (con i piedi 50 cm sopra il rinvio e moschettare persino più scomodi). Non ha senso ed è fatto apposta.
Vorrei richiodarla. Secondo te posso farlo s4enza urtare la sensibilità di nessuno?

Iarwain
Iarwain ∙ 2 anni fa

Sia io (sia Angelo Masci) siamo d'accordo. Il punto non è se una via sia chiodata lunga o corta (quello è un tratto d'autore del chiodatore), ma se sia chiodata giusta o sbagliata (rischio di cadute a terra, aumento di difficoltà rispetto all'esecuzione in libera, come dicevi tu). In questo secondo caso, secondo me, si può anche correggere la posizione delle protezioni in fase di richiodatura, facendo sì che il moschettonaggio impatti meno sull'esecuzione in libera.

(Esempi di vie chiodate male e da correggere: Equinozio a Tagliacozzo, Leon a Grotti Alta)

Breddi
Breddi ∙ 2 anni fa

[Iarwain] eh. Ma se poi il chiodatore (quello che ha scoperto la linea, si è sbattuto per chiodare e c'ha pure messo i soldi) si "incazza"? che si fa?

Iarwain
Iarwain ∙ 2 anni fa

Si constata una volta di più quanto manchi il senso (e il buonsenso) di comunità nel centro Italia

Breddi
Breddi ∙ 2 anni fa

Mi fa piacere che 2 ottavigradisti siano d'accordo con me... ;)

coso
coso ∙ 2 anni fa

Se non ricordo male, La Cura dei Tendini, nella falesia Muro Bianco a Sperlonga, é stata richiodata a fittoni alcuni anni fa.

Iarwain
Iarwain ∙ 2 anni fa

Hai ragione, me l’hanno detto poco dopo aver finito l’articolo. Appena ho tempo cambio con un altro esempio (per quanto quel settore calzi bene col concetto che volevo esprimere)

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