1. Home
  2. Articoli
  3. Leggi articolo

Terapia d'urto

Vedo intorno a me la maggior parte degli scalatori stazionare per anni ( alcuni per sempre) sullo stesso livello.
Come in un salto quantico, il passaggio da uno stato all'altro accade, quando accade, se accade, in maniera subitanea, senza stati intermedi.
Ma perché questo avvenga c'è bisogno di una enorme energia di innesco. Una modifica strutturale delle condizioni di allenamento. Una terapia d'urto.
Una rottura drastica con quella routine che permetteva, si, di mantenere un livello, anche buono.
Chi si è stufato di stazionare per anni sullo stesso livello deve avere il coraggio di rompere alcuni rassicuranti schemi, non solo fisici, ma soprattutto mentali, emozionali, lasciandosi andare, come per un lungo lancio a due mani verso un appiglio sconosciuto.

Notai questo strano fenomeno dopo anni passati ad allenarmi e, soprattutto, ad allenare altre persone: i miglioramenti-fatta eccezione la fase iniziale del principiantato, che può durare anche anni- non avvengono in maniera progressiva, per esempio una lenta e costante ascesa.
Neppure si tratta, come avviene in altri sport ( per esempio il Golf o il Tennis) di una snervante sinusoide tra miglioramenti e peggioramenti.
Quello che accade, semplicemente, é che si raggiunge un livello e li si staziona.
Fino a che, a un certo punto - ma non è detto- si fa un salto verticale e discontinuo ad un altro livello.
Come se tutti avessimo un livello potenziale da esprimere già predefinito, molto difficile da superare.
Si resta su quell'altopiano, sia che ci si alleni bene che male, molto che poco.
La notizia buona, di questa teoria, è che una volta raggiunto un plafond, difficilmente si ricade al livello inferiore, anche sbagliando allenamenti: quello che è stato acquisito ritorna in fretta.
La notizia cattiva, è che qualunque tipo di allenamento, frequenza, programmazione, stile di vita, influenza di poco il risultato finale: il livello superiore rimane vicino ma irraggiungibile, come un universo parallelo di un altra dimensione.


Per capirci qualcosa bisognava studiare chi aveva fatto il salto.
Un tipo che conoscevo era esploso a 40 anni, passando dall'8a+all'8c.
Io a 35 anni ero passato dall'8b+ all'8c+; Una ragazza della palestra, dopo 10 anni di stasi sulle M++ ora chiudeva le D.
Uno che allenavo via internet, era, improvvisamente, a cinquant'anni, passato dal 7b all'8a .
Eccetera.

Dovevo capire, retrospettivamente, quali fossero quei magici meccanismi che permettevano di cambiare altopiano.
Mi serviva un razzo, per far attraversare l'iperspazio alle persone.
Cercai di analizzare innanzitutto il mio caso.
Tra il 1999 e il 2001 salii 8 vie di 8c e un 9a. Più di quante ne avessi mai fatte nei mie precedenti 15 anni di scalata.
Cosa era cambiato tra il 1997 e il 1999? Scalavo già bene, non avevo paura di cadere, sapevo ottimizzare e memorizzare velocemente le sequenze nel lavorato, nell'a-vista ero un combattente e non mollavo fino alla morte. Sapevo gestire l'ansia da prestazione, anzi, ero in grado di trasformarla in energia aggiuntiva; quando il compito era difficile, quando si pretendeva molto da me, la sicurezza di saper fare bene scioglieva tutta la parte negativa dell'ansia trasformandola in fierezza.

Quello che mi serviva , era un surplus di forza esplosiva, una dirompente energia, per accendere i reattori e fare il volo nell'iperspazio, per agguantare il bordo dell'altopiano successivo e issarmici sopra.
Negli anni precedenti al salto, dal '96 al '98, avevo sperimentato su di me e sulle mie "cavie umane" ( che avevo la fortuna di poter disporre, grazie al mio lavoro di allenatore) molti esercizi sulla forza massima specifica. Prima di ogni ciclo annotavo i valori iniziali della forza massima a secco, poi osservavo eventuali miglioramenti nel breve e medio periodo. Presto scoprii che alcuni esercizi avevano effetti super allenanti, già alla fine di un solo ciclo, su tutte le cavie e su me stesso.
Chiamai questi esercizi " esercizi attivanti". Feci ulteriori "filtraggi", somministrando esercizi attivanti ed eliminando quelli che non avevano una significativa incidenza sulla forza massima. Arrivai così ad ottenere una buona selezione di esercizi.
Dal 1997 al 2010, per tutto l'anno, esclusi i mesi estivi nei quali scalavo prevalentemente su roccia, il lunedì e mercoledì, dalle 3 alle 6 di pomeriggio, con un gruppo di allievi eseguivo esercizi attivanti.
Per me era una sorta di doping, endogeno, dunque non cancerogeno, ma sicuramente traumatico e lesivo. Una seduta di 6X6X6 ( 6 esercizi di 6 serie dove ogni serie aveva 6 ripetizioni) caricava, eccitava come una botta di anfetamina. Perfino la mia indole pigra e indolente si risvegliava; mentre eseguivamo le ripetizioni ci ringhiavamo l'un l'altro, a torso nudo, anche con il freddo pungente, mentre la sala container dove ci allenavamo si saturava dell'odore acre delle nostre ascelle, il testosterone montava, diventavamo sempre più aggressivi, insultandoci a vicenda per ogni minimo tentativo di "barare" , e ruggendo di vittoria ogni volta che si chiudeva un esercizio meglio di un altro.
Questo tipo di doping endogeno ( quindi "sano" e consentito) mi aveva fatto accedere al piano superiore.
Avevo scoperto qualcosa che funzionava bene su di me.

La maggior parte delle persone che allenavo, però, aveva bisogno di altro. Il surplus di forza indoor, su di loro, non si trasformava quasi mai in risultato.

Dovevo ricominciare da capo, e iniziai a studiare altre persone che avevano fatto il salto.
Per alcuni il razzo si era acceso dopo un dimagrimento radicale, snervante, pericoloso (altri invece, con una dieta eccessiva, avevano perso l'esplosività muscolare, diventando dei mediocri bradipi).
Altri avevano trovato il modo di sconfiggere la paura. Altri ancora avevano cambiato la routine delle solite falesie, e il tipo di approccio nella scalata in falesia.
Per me era stato il Power.

La maggior parte di quelli che non facevano il salto, invece, necessitava di forti input psicogeni, e l'energia di attivazione necessaria per superare la soglia era ancora più alta, perché doveva sbloccare problemi tecnici-mentali-emozionali ormai profondamente radicati e fossilizzati

Insomma avevo capito alcune cose importanti, dalla teoria degli altopiani:
Quello che serve, per passare di livello, è un fortissimo innesco, una terapia d'urto, una botta ai limiti del trauma. Se l'energia di attivazione è inferiore a una certa soglia, non si può raggiungere lo step successivo.
Il tipo di innesco è diverso da persona a persona.
Dopo anni di stasi, se non avviene il passaggio di livello, bisogna demolire quegli schemi che, come mura di una casa che ci protegge ma ci trattiene, ci rassicurano ma non ci fanno prendere il volo.

Commenti

Utente eliminato ∙ 12 anni fa

domanda?

cosa intendi " passare di livello? "
é solo una questione matematica di grado? A vista, lavorato?
o il pasaggio di livello lo misuri anche sulla " qualità" dell'arrampicata, del movimento ?

Jacopo T Santaiti
Jacopo T Santaiti ∙ 12 anni fa

argomento interessantissimo.
Aggiungo una cosa :
ascoltando interviste, riflessioni, pensieri sull'arrampicata dei soliti campioni, ma anche tra le persone "comuni" credo che molto faccia la capacità di ri-stimolarsi.
Durante il periodo del principiante siamo bombardati da stimoli fisici, tecnici, emozionali ecc. il campo in cui ci muoviamo con i nostri primi passi è completamente oscuro, nuovo e pieno di stimoli.
In quel periodo procediamo come procedono nell'apprendimento i bambini nei primi anni di vita, ogni situazione è una opportunità per scoprire il modo "giusto", ovvero quello che funziona senza metterci in pericolo.
Anche se molti di noi attingono agli stimoli per continuare imperterriti negli anni ad allenarsi 2/3 volte a settimana è evidente che abbiamo trovato le nostre quadre circa le sicurezze che percepiamo necessarie (stile delle vie, movimenti tecnici, ecc).
Individuo una possibile soluzione nel cercare di crescere omogeneamente in tutti gli stili d'arrampicata, sperimentando di volta in volta che si raggiungono maestrie i campi piu scoperti.
Del resto come dice jolly, l'acquisito è li pronto per essere ripreso.
Traendo da un bagaglio di esperienze diverse si migliora senza dubbio lo stile, il livello, il grado ecc

Alessandro ∙ 12 anni fa

scalare tanto su roccia

la preparazione atletica è fondamentale poi però bisogna essere in grado di saper sfruttare al massimo le proprie capacità fisiche. credo ci sia un solo modo per farlo: scalare sulla roccia, su tutti i tipi di roccia a vista o con pochi tentativi il più possibile. solo così potremo acquisire la giusta sensibilità, ovvero la capacità di sentire il nostro corpo, la riccia sotto le dita e sotto le suole delle nostre scarpette. Tale sensibilità, inoltre, ci permetterà di migliorare anche dal punto di vista psicologico, limitando le nostre paure ed incertezze. In poche parole, più si scala su roccia con continuità più si migliora a parità di capacita atletiche; 20 giorni di vacanza scalatoria valgono mesi e mesi di allenamento.

Accedi per commentare
© Climbook
Aggiornamenti | Assistenza
DISCLAIMER
L'arrampicata è un'attività potenzialmente pericolosa, chi la pratica lo fa a suo rischio e pericolo. Climbook e i suoi utenti non sono responsabili di eventuali incidenti che possano accadere utilizzando le informazioni presenti sul sito. È responsabilità esclusiva dell'utente assicurarsi di verificare sul posto, di volta in volta e con l'aiuto di persone esperte, le informazioni presenti su Climbook, prima di intraprendere qualsiasi scalata, e di rispettare le norme di sicurezza.