A me non dava fastidio il suo nervosismo, che era uterinamente altalenante; sapevo che sarebbe durato poco, mi piacevano quei differenziali amorosi, erano onde di energia vitale, maree ciclotimiche che la luna gestiva zodiacalmente.
A me dava fastidio che, pur essendo lei intelligente, pur avendo lei intrapreso un percorso di conoscenza di sé e di miglioramento di sé, non ammettesse mai la futilità dell’elemento scatenante.
Non mi dava fastidio che fosse isterica o che talvolta se la prendesse ingiustamente con me.
Quello che mi dava più fastidio era il fatto che mai, m-a-i, avrebbe ammesso di essere nervosa.
Era una incapacità compulsiva: così come un gatto non si sarebbe mai tuffato in una piscina per farsi un bagnetto, lei non mi avrebbe m-a-i dato ragione.
Un sacco di soldi spesi in lezioni di yoga, Chi kung, psicoanalisi e raduni buddisti.
Ma continuava a mentirsi dicendo che lei non era nervosa.
Decisi che quel giorno l’avrei osservata senza disturbarla, senza contraddirla, come uno psichiatra, o meglio, un antropologo. O, meglio ancora, un entomologo.
Cominciammo con un 6a+ brutto e boulderoso. Perfetto come zolfanello per appiccare l’incendio, e restare a guardare.
Salii prima io, fingendo una facilità annoiata, come se prendessi le prese a caso, tanto era facile. Mentre salivo, invece, elaboravo attentamente le sequenze, anticipavo i movimenti successivi, mi concentravo sulla strada più semplice da percorrere, come fossi stato su un 8a a vista.
Quando scesi avevo tutto in testa, come sempre: la sequenza migliore dei movimenti; i punti dove era facile sbagliare andandosi a infognare; ogni appiglio di quella via, sia per le mani che per i piedi, era stato inserito nel mio archivio mentale.
Toccava a lei.
Ci sono due categorie di donne scalatrici: quelle che riescono a godersi una via anche da seconde, e quelle che devono, per forza, andare sempre da prime.
Quelle che riescono a salire da seconde, sono meno auto-competitive, meno esigenti con loro stesse, più rilassate e talvolta indolenti. Sono rare (parlo delle vere scalatrici, certo, non delle fidanzate reggicorda). Quelle che sanno andare solo da prime, invece, devono continuamente spararsi nelle vene, per mezzo della scalata, massicce dosi di endorfine, per trovare un poco di pace.
Io ero affascinato quasi sempre dal secondo tipo.
Forse perché il primo gruppo era quasi introvabile.
Ovviamente volle a tutti i costi salire da prima.
Dunque cominciò a tribolare.
Io non sapevo se parlare. Conoscevo il modo giusto per passare. Ma sapevo anche che se mi facevo i cazzi miei era meglio.
Purtroppo, ad un certo punto, fu lei a chiedermelo.
“Potresti dirmi da che parte sei passato o sei disattento come al solito?”
_Non troverai mai, mai nella tua vita, un assicuratore più attento di me._
“Hai una presa rovescia davanti al petto”.
“Dove!!!”
Il nervosismo, come l’ansia, impedisce di capire o vedere le cose più evidenti.
“Davanti a te, con la mano destra”.
“Non la trovo, devi spiegarti meglio”.
“Quindici centimetri e destra del rinvio che hai appena moschettonato”.
“Non la trovo. Blocca blocca bene”.
“……………” .
“Se parli devi essere preciso sennò è meglio che stai zitto”.
(.….........….........)
_Che faccio? Vuole che reagisca, ma se reagisco si incazza. Amore mio voglio farti stare bene voglio trovare il modo per farti stare bene._
“Mi ascolti quando parlo o ti stai facendo ancora i cazzi tuoi?”.
_Amore non fare così ti prego, non mi dai via di uscita._
“Scusa non mi sono spiegato bene”.
_Lo so lo so così peggioro la situazione_
“Pensavo avessi visto quel rovescio”.
_Devo simulare una leggera reazione, altrimenti pensa che le dò ragione, se le dò ragione non riesce a sfogarsi, povero l’amore mio._
“Non posso mica indicarti gli appigli con un raggio laser”.
_Poi dirai che non ti sei innervosita. Lo so. Non è colpa tua. Non hai raggiunto quello stato di accettazione tantrica che ho raggiunto io. Io non ho bisogno di essere nervoso. Ancora. Ma ci proverò, te lo prometto, cercherò di capire come si fa._
“Allora stai zitto, sii preciso oppure stai zitto, altrimenti mi fai cadere”.
“Sei un pessimo maestro”.
“Quindi è colpa mia se ti sei appesa su un 6a”.
_Cazzo mi è sfuggita questa frase, la mia bocca ha parlato scollegata dal cervello. Amore mio mi piaci tanto lo stesso lo sai?_
“Fammi il piacere stai zitto, ok? Non cercare la polemica come al solito”.
_Come al solito? Ora cercherai la zuffa, quello che dico o non dico non importerà, posso stare zitto, parlare, scusarmi, tu hai bisogno della guerra ora, ma non ti fa bene, ne hai bisogno come il varicelloso ha bisogno di grattarsi, amore mio è più forte di te, ma non ti darà nessuna soddisfazione._
“Ok sto zitto”.
_Ora se non reagisco aumenterai la forza delle tue stoccate, e se non sarà sufficiente, immergerai le frecce nel veleno. Amore._
“Vado”.
“…………”.
“Occhio”.
“Ok”.
“... …”
“............”.
“Sto per volare”.
“Ok”.
“Sei cretino? Ti dico sto per volare!! aiutami! dimmi dove devo andare!”
“Ok!”
“Cazzo mi dici OK!”
“............”.
“Volo. Bbblllooocaaaa!”
“...............”.
“Quando ti comporti così sei proprio insopportabile”.
_Dimmi amore mio, dimmi cosa vuoi che faccia, cosa vuoi che ti dica.
“Dimmi, cosa vuoi che faccia: sto zitto? Parlo? Ti dico i movimenti? Non te li dico?”._
“Mi dispiace che ti sia innervosita”.
_Opps mi è sfuggita quella parola, amore mio, no, non sei nervosa, te non sei mai nervosa._
“Tu sei capace solo a scalare”. Disse.
_Ora diventerai cattiva veramente. Ora vorrai affondare le tue stoccate oltre la pelle, fino alla carne viva, spolparla a forza di scalpellare fino a che non riuscirai a scoprire qualche nervo._
“.................”.
“Per il resto vali zero”.
Mi guardavo intorno, alla ricerca di qualcosa, mi serviva un aggancio solido.
“Ora stai attento e non mi parlare mentre scalo”.
Vicino a me c’era una quercia di medie dimensioni. La base si sdoppiava in due grossi tronconi che si infilavano nella terra diventando radici.
“Sei sordo? Mi stai a sentire?”.
Preparai un’asola con l’altro capo della corda, la fissai con un bulino doppio alla radice.
“Vado. Molla. Molla!”.
Mollai un poco di corda.
Lei ripartì, e la corda non fu più in tensione.
Con un movimento veloce sganciai il Gri-Gri dalla mia imbracatura e lo fissai alla radice.
Abilmente feci una asola di bloccaggio, con controasola di sicurezza, a valle del Gri-Gri, per evitare che si potesse sbloccare accidentalmente (non per niente stavo per diventare una guida alpina). Ci vollero pochi istanti. Lei non si era accorta di nulla.
“Stai attento, ora per colpa tua mi sono stancata, mi hai fatto stare due ore su quel passaggio dimmerda”.
Mi incamminai sul sentiero che costeggiava la falesia. L’aria era fresca, le querce cominciavano già a macchiarsi di rosso, qualche foglia qua e là. Ottobre era il mio mese preferito per arrampicare. Il clima migliore. Cominciavo la stagione. Come fosse l’inizio dell’anno scolastico.
“Va bene”, risposi in automatico.
In risposta ci fu un silenzio attonito: la mia voce le stava arrivando da una angolazione diversa: quella di un osservatore che si stava allontanando.
Finalmente guardò sotto, e si rese conto che non c’era più nessuno, a farle sicura.
Quando cominciò a urlare, ormai avevo girato l’angolo del sentiero.
“Sei pazzo!! Pazzo! Mi fai paura”.
Mi sedetti, e con calma cominciai a rollarmi una sigaretta.
“Ti denuncio. Tutti devono sapere che sei pazzo!”.
Davanti a me si distendeva il ramo superiore della Val Nerina. Il sole del tardo pomeriggio trafiggeva la leggera nebbiolina che offuscava il fondovalle.
In lontananza si poteva vedere, solo accennato, il fumo bianco che si alzava dalla spuma generata dalle cascate delle Marmore.
“Torna subito qui. Mi fa male l’imbragatura. Sto male. Voglio tornare a casa”.
Mi accesi la sigaretta e inspirai avidamente il fumo come se, veramente, fossi stato lì, da solo, felice, a riposare dopo una passeggiata in montagna.
TRATTO DAL LIBRO
"RUN OUT", Di Alessandro Jolly Lamberti.
PER LA COLLANA "STORIE VERE"
CHE USCIRA' IL 1 NOVEMBRE 2014.
A me dava fastidio che, pur essendo lei intelligente, pur avendo lei intrapreso un percorso di conoscenza di sé e di miglioramento di sé, non ammettesse mai la futilità dell’elemento scatenante.
Non mi dava fastidio che fosse isterica o che talvolta se la prendesse ingiustamente con me.
Quello che mi dava più fastidio era il fatto che mai, m-a-i, avrebbe ammesso di essere nervosa.
Era una incapacità compulsiva: così come un gatto non si sarebbe mai tuffato in una piscina per farsi un bagnetto, lei non mi avrebbe m-a-i dato ragione.
Un sacco di soldi spesi in lezioni di yoga, Chi kung, psicoanalisi e raduni buddisti.
Ma continuava a mentirsi dicendo che lei non era nervosa.
Decisi che quel giorno l’avrei osservata senza disturbarla, senza contraddirla, come uno psichiatra, o meglio, un antropologo. O, meglio ancora, un entomologo.
Cominciammo con un 6a+ brutto e boulderoso. Perfetto come zolfanello per appiccare l’incendio, e restare a guardare.
Salii prima io, fingendo una facilità annoiata, come se prendessi le prese a caso, tanto era facile. Mentre salivo, invece, elaboravo attentamente le sequenze, anticipavo i movimenti successivi, mi concentravo sulla strada più semplice da percorrere, come fossi stato su un 8a a vista.
Quando scesi avevo tutto in testa, come sempre: la sequenza migliore dei movimenti; i punti dove era facile sbagliare andandosi a infognare; ogni appiglio di quella via, sia per le mani che per i piedi, era stato inserito nel mio archivio mentale.
Toccava a lei.
Ci sono due categorie di donne scalatrici: quelle che riescono a godersi una via anche da seconde, e quelle che devono, per forza, andare sempre da prime.
Quelle che riescono a salire da seconde, sono meno auto-competitive, meno esigenti con loro stesse, più rilassate e talvolta indolenti. Sono rare (parlo delle vere scalatrici, certo, non delle fidanzate reggicorda). Quelle che sanno andare solo da prime, invece, devono continuamente spararsi nelle vene, per mezzo della scalata, massicce dosi di endorfine, per trovare un poco di pace.
Io ero affascinato quasi sempre dal secondo tipo.
Forse perché il primo gruppo era quasi introvabile.
Ovviamente volle a tutti i costi salire da prima.
Dunque cominciò a tribolare.
Io non sapevo se parlare. Conoscevo il modo giusto per passare. Ma sapevo anche che se mi facevo i cazzi miei era meglio.
Purtroppo, ad un certo punto, fu lei a chiedermelo.
“Potresti dirmi da che parte sei passato o sei disattento come al solito?”
_Non troverai mai, mai nella tua vita, un assicuratore più attento di me._
“Hai una presa rovescia davanti al petto”.
“Dove!!!”
Il nervosismo, come l’ansia, impedisce di capire o vedere le cose più evidenti.
“Davanti a te, con la mano destra”.
“Non la trovo, devi spiegarti meglio”.
“Quindici centimetri e destra del rinvio che hai appena moschettonato”.
“Non la trovo. Blocca blocca bene”.
“……………” .
“Se parli devi essere preciso sennò è meglio che stai zitto”.
(.….........….........)
_Che faccio? Vuole che reagisca, ma se reagisco si incazza. Amore mio voglio farti stare bene voglio trovare il modo per farti stare bene._
“Mi ascolti quando parlo o ti stai facendo ancora i cazzi tuoi?”.
_Amore non fare così ti prego, non mi dai via di uscita._
“Scusa non mi sono spiegato bene”.
_Lo so lo so così peggioro la situazione_
“Pensavo avessi visto quel rovescio”.
_Devo simulare una leggera reazione, altrimenti pensa che le dò ragione, se le dò ragione non riesce a sfogarsi, povero l’amore mio._
“Non posso mica indicarti gli appigli con un raggio laser”.
_Poi dirai che non ti sei innervosita. Lo so. Non è colpa tua. Non hai raggiunto quello stato di accettazione tantrica che ho raggiunto io. Io non ho bisogno di essere nervoso. Ancora. Ma ci proverò, te lo prometto, cercherò di capire come si fa._
“Allora stai zitto, sii preciso oppure stai zitto, altrimenti mi fai cadere”.
“Sei un pessimo maestro”.
“Quindi è colpa mia se ti sei appesa su un 6a”.
_Cazzo mi è sfuggita questa frase, la mia bocca ha parlato scollegata dal cervello. Amore mio mi piaci tanto lo stesso lo sai?_
“Fammi il piacere stai zitto, ok? Non cercare la polemica come al solito”.
_Come al solito? Ora cercherai la zuffa, quello che dico o non dico non importerà, posso stare zitto, parlare, scusarmi, tu hai bisogno della guerra ora, ma non ti fa bene, ne hai bisogno come il varicelloso ha bisogno di grattarsi, amore mio è più forte di te, ma non ti darà nessuna soddisfazione._
“Ok sto zitto”.
_Ora se non reagisco aumenterai la forza delle tue stoccate, e se non sarà sufficiente, immergerai le frecce nel veleno. Amore._
“Vado”.
“…………”.
“Occhio”.
“Ok”.
“... …”
“............”.
“Sto per volare”.
“Ok”.
“Sei cretino? Ti dico sto per volare!! aiutami! dimmi dove devo andare!”
“Ok!”
“Cazzo mi dici OK!”
“............”.
“Volo. Bbblllooocaaaa!”
“...............”.
“Quando ti comporti così sei proprio insopportabile”.
_Dimmi amore mio, dimmi cosa vuoi che faccia, cosa vuoi che ti dica.
“Dimmi, cosa vuoi che faccia: sto zitto? Parlo? Ti dico i movimenti? Non te li dico?”._
“Mi dispiace che ti sia innervosita”.
_Opps mi è sfuggita quella parola, amore mio, no, non sei nervosa, te non sei mai nervosa._
“Tu sei capace solo a scalare”. Disse.
_Ora diventerai cattiva veramente. Ora vorrai affondare le tue stoccate oltre la pelle, fino alla carne viva, spolparla a forza di scalpellare fino a che non riuscirai a scoprire qualche nervo._
“.................”.
“Per il resto vali zero”.
Mi guardavo intorno, alla ricerca di qualcosa, mi serviva un aggancio solido.
“Ora stai attento e non mi parlare mentre scalo”.
Vicino a me c’era una quercia di medie dimensioni. La base si sdoppiava in due grossi tronconi che si infilavano nella terra diventando radici.
“Sei sordo? Mi stai a sentire?”.
Preparai un’asola con l’altro capo della corda, la fissai con un bulino doppio alla radice.
“Vado. Molla. Molla!”.
Mollai un poco di corda.
Lei ripartì, e la corda non fu più in tensione.
Con un movimento veloce sganciai il Gri-Gri dalla mia imbracatura e lo fissai alla radice.
Abilmente feci una asola di bloccaggio, con controasola di sicurezza, a valle del Gri-Gri, per evitare che si potesse sbloccare accidentalmente (non per niente stavo per diventare una guida alpina). Ci vollero pochi istanti. Lei non si era accorta di nulla.
“Stai attento, ora per colpa tua mi sono stancata, mi hai fatto stare due ore su quel passaggio dimmerda”.
Mi incamminai sul sentiero che costeggiava la falesia. L’aria era fresca, le querce cominciavano già a macchiarsi di rosso, qualche foglia qua e là. Ottobre era il mio mese preferito per arrampicare. Il clima migliore. Cominciavo la stagione. Come fosse l’inizio dell’anno scolastico.
“Va bene”, risposi in automatico.
In risposta ci fu un silenzio attonito: la mia voce le stava arrivando da una angolazione diversa: quella di un osservatore che si stava allontanando.
Finalmente guardò sotto, e si rese conto che non c’era più nessuno, a farle sicura.
Quando cominciò a urlare, ormai avevo girato l’angolo del sentiero.
“Sei pazzo!! Pazzo! Mi fai paura”.
Mi sedetti, e con calma cominciai a rollarmi una sigaretta.
“Ti denuncio. Tutti devono sapere che sei pazzo!”.
Davanti a me si distendeva il ramo superiore della Val Nerina. Il sole del tardo pomeriggio trafiggeva la leggera nebbiolina che offuscava il fondovalle.
In lontananza si poteva vedere, solo accennato, il fumo bianco che si alzava dalla spuma generata dalle cascate delle Marmore.
“Torna subito qui. Mi fa male l’imbragatura. Sto male. Voglio tornare a casa”.
Mi accesi la sigaretta e inspirai avidamente il fumo come se, veramente, fossi stato lì, da solo, felice, a riposare dopo una passeggiata in montagna.
TRATTO DAL LIBRO
"RUN OUT", Di Alessandro Jolly Lamberti.
PER LA COLLANA "STORIE VERE"
CHE USCIRA' IL 1 NOVEMBRE 2014.
Commenti
Bruno Subioli
∙ 10 anni fa
ma poi avete chiarito o a Ferentillo c'è ancora una ragazza appesa su un 6a+?
Sergio Teresi
∙ 10 anni fa
la verità in storie...
grande Jolly, grande scalatore ma anche scrittore. Stima raddoppiata!
Jolly Lamberti
∙ 10 anni fa
Uscirà a novembre, con un mese di ritardo. A breve ti farò sapere dove trovarlo o come ordinarlo
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