La maggior parte degli scalatori che incontro, amatori, anche di buon livello, sono fermi a un plateau, dal quale non si schiodano più, indipendentemente dalla quantità di allenamento svolto (la notizia buona è che anche allenandosi poco lo mantengono).
Un’altra situazione frequente è la sproporzione tra abilità fisiche e rendimento in falesia. Queste due condizioni (il plateau e lo scarso rendimento) talvolta si sovrappongono: se, per fare un 7a, devo raggiungere un livello fisico da 8a (perché spreco), è evidente che finirò plateauizzato: per raggiungere il livello 8a, dovrei ottenere un livello fisico da 9a, e questo si scontra con limiti genetici.
Nell'articolo di oggi vorrei sintetizzare alcune possibili vie di fuga dal plateau (salto verso un livello superiore).
Sulla carta la ricetta è semplice: ci sono quattro abilità fondamentali, e andrebbero allenate - o perlomeno tenute in considerazione - tutte e quattro, anche se in percentuali differenti, in base ai nostri punti di forza o di debolezza. Troppo spesso, invece, si privilegia sempre e solo l'allenamento delle abilità fisiche.
Le quattro abilità
Se parlo di abilità, e non di capacità, è perché con capacità si potrebbe intendere qualcosa di congenito e immodificabile; l’abilità, invece, è qualcosa che si può migliorare.
La schematizzazione che farò servirà solo per analizzare e sintetizzare: nella realtà non c’è un confine netto tra le varie categorie: la forza parte dal mentale, e allo stesso tempo non ci può essere tecnica senza forza, le abilità motorie sono aggrovigliate con quelle cognitive...Insomma, la realtà non ha i contorni che siamo costretti a disegnare per cercare di descriverla.
Abilità cognitive. Legate alla sfera del ragionamento, della “tattica”.
Queste abilità sono le meno considerate nel nostro ambiente, quando, invece, spesso è proprio per tali deficienze che non realizziamo i nostri progetti: sbagliata gestione dei tempi e dei tentativi, della lettura, della memorizzazione. Ma anche scelta sbagliata dei progetti, delle falesie, dei compagni, errori di valutazione, di flessibilità mentale, di problem solving.
E’ arrivato il fine settimana. Jek vuole provare il suo primo 7a. Sceglie una falesia totalmente inadatta, con vie tricky, sottogradate e boulderose. Piena di cenge e gradoni, uno scoglio sgarrupato dove è impossibile spingersi al limite. Non ha fiducia e non va d’accordo con il compagno; quando arriva fa molto caldo. Dopo un veloce riscaldamento si appende subito sul tiro scelto, si ferma sul passaggio chiave e lo tenta freneticamente 10 volte di seguito senza ottimizzare alcuna procedura. Una volta a terra, l’impazienza di riprovarlo gli impedisce di riposare a sufficienza, e fa molti altri tentativi, senza ragionare sui vari “methodes” tentati. A questo punto la temperatura è diventata ottimale, ma oramai Jek ha la pelle consumata e gli avambracci gonfi. Decide di riprovarlo l’indomani, ma nel frattempo si sfinisce su alcuni strapiombi più facili, ma molto faticosi, perché ha la sensazione di non aver concluso nulla. Il giorno successivo sarà una debacle totale, Jek pensa di non essere allenato, e da lunedì aumenterà ancora di più il carico di lavoro in palestra. E’ incredibile quanta mancanza di “tattica”, ancor più che di tecnica, si veda in giro.
Non si tratta di “allenare” le abilità cognitive. Si tratta semplicemente di ricordarsi di usarle.
Per quanto riguarda questa abilità, la maggior parte delle cose che ci servono le abbiamo già dentro di noi. Non abbiamo veramente bisogno di maestri. Non dobbiamo ragionare quando scaliamo, solo “sentire”, e osservare. Ma prima e dopo si; se non lo facciamo, vanificheremo il tempo dedicato alla pratica fisica e mentale.
Abilità mentali. Legate alla sfera delle emozioni, motivazione, concentrazione, immaginazione.
Anche queste sottovalutate, o meglio ridotte unicamente alla ricerca continua del superamento della paura e dell’ansia quando, invece, comprendono molto altro: combattività, abilità di sapersi rialzare dopo ogni sconfitta, eliminazione del self-talk negativo (“non ce la farò mai”-“non ho forza”-“non ci arrivo”); essere in grado di visualizzare e ripetere mentalmente il movimento in modo vivido. Attivi ma senza frenesie isteriche; concentrati ma senza focalizzarsi su un solo punto. Lucidi e pieni di energia. Attenti ma senza auto-valutarsi di continuo o porsi aspettative.
Abilità motorie. Legate alla coordinazione e alla tecnica. Acquisite attraverso l’apprendimento e automatizzate con la ripetizione.
Gli equilibri statici e dinamici, il ritmo, la sensibilità dei piedi in spalmo o in edging, La sensibilità delle mani nei vari tipi di prensione ( per esempio di “di pelle” o “di stretta”), la precisione, la pulizia del movimento, i fondamentali tecnici, la gestione dei riposi.
Gli errori più gravi non sono mai specifici: del tipo “ho fatto quel passaggio frontale invece che laterale”; “ho preso la pinzata con la mano sinistra invece che la destra”; “lancio invece che controllare il movimento”. Nella scalata la tecnica non è il fine ma solo il mezzo.
Gli errori da correggere sono quelli sistematici, cioè quelli che ci sono sempre, indipendentemente dal tipo di passaggio o di andatura: se stringo troppo le prese, lo farò sia in laterale che frontale, sia a Sperlonga che a Finale; se ho il piede pesante, se ho una scalata titubante e conservativa, se sono troppo lento, se muovo poco le gambe o non lascio fluire le anche, sono tutti germi che infettano la scalata indipendentemente dal tipo di parete o di andatura che utilizzo. E’ proprio questi errori che dovremo correggere, gli errori trasversali e sistematici. Il singolo passaggio, poi, Jek lo farà in laterale, John frontale, Giuseppe lo risolverà con un lancio mentre Anna bloccherà statica: e lasciamoli scalare come gli pare!
Abilità fisiche. Legate alla forza, resistenza e mobilità.
Se è vero che l’allenamento delle abilità fisiche non dovrebbe mai essere abbandonato, è anche vero che nella maggior parte dei casi è l’unico allenamento che viene svolto, studiato, discusso.
Come uscire dal plateau?
Quindi, come procedere? Ormai il lavoro sulla forza e sulla paura è sdoganato in quasi tutti i contesti didattici. Le abilità cognitive, alcune abilità motorie, e alcune abilità mentali, al contrario, sono bel lungi dall’essere affrontate. Sviluppare solo in parte le quattro abilità precedentemente esposte non è sufficiente per affrontare il salto che ci permetterà di uscire dal plateau.
Ma c’è un altro ormeggio a trattenerci dal prendere il largo: molto spesso per uscire dal plateau bisogna essere disposti a retrocedere, come se dovessimo prendere la rincorsa per poi lanciarci e saltare di livello. Per migliorare devo essere disposto a peggiorare, con la speranza (mai la certezza) che in futuro questo mi permetta di resettarmi a un livello superiore.
In molte discipline il passaggio a una tecnica più avanzata comporta un iniziale peggioramento.
A spazzaneve scendo ovunque ma non riesco a percorrere neppure una pista blu quando provo a tenere gli sci paralleli.
Nel golf gli autodidatti, dopo poco tempo riescono a colpire e indirizzare la palla anche con grandi velocità. Quando interviene il maestro, cambiando la loro impostazione, per un lungo periodo non riusciranno neppure a colpire la pallina.
Commenti
articolo illuminante!!!
Pienamente cosciente di questi limiti, infatti continuo a sentire da decenni solo commenti di persone "... devo dimagrire", o " non sono abbastanza forte" e frasi simili, mai sentito nessuno che ammettesse che gli mancano delle competenze. Nessuno che ammette che ha dei limiti a volte cronicizzati! Ma degli allenatori competenti , che hanno studiato e con esperienza decennale praticamente non esistono, o no?!!! Nè giusto nè sbagliato , lo darei come un dato di fatto di questo sport... Nelle palestre spesso nessuno insegna nulla e bisogna imparare tutto da soli!!! Pensando ad altri sport ... l'autoapprendimento autogestito non è contemplato, nemmeno saltuariamente!!!
Condivido il tuo pensiero. Personalmente ho trovato il Paolo Caruso l'unico che spiega la tecnica nei suoi schemi motori molto precisi partendo da zero e può aiutare molto negli errori motori che si apprendono da soli, evita di inserire schemi motori erronei. Tecnicamente a livello biomeccanico davvero impeccabile. Peccato nella preparazione atletica, ma non è la sua ricerca. Molti forti scalatori applicando il metodo Caruso manifestano una pari resa allenandosi meno. L'armonia e fluidità del movimento in fondo sono la soddisfazione del muoversi, non possiamo certo restare legati solo al grado...
Una riflessione.
Lo stallo o il plateau è il momento cruciale per ogni atleta se preso nel modo corretto. Permette una profonda riflessione sulle proprie capacità ma soprattutto sul perché si investono tante energie in una attività. Ovviamente se tutto è gestito in modo costruttivo perché è negli indicatori secondari(a mio avviso) la chiave per capire quali aspetti migliorare nell'elenco di Alessandro. Molto spesso il plateau si osserva nella versione apicale della performance: il grado massimo. Ma è la giusta metrica? Come mi comporto negli aspetti che concorrono ad essa? Miglioro nella gestione del tiro? Cresce il grado medio della mia sessione in falesia? (Ad esempio il nostro Jack non conclude un cazzo dal 7b jn su ma passa le sue giornate dal 6c in su cosa che ai tempi del suo primo 7c era inpensabile...oppure i 7b che lo corcano sono più duri del 7c che ha fatto...oppure come vanno le sue sospensioni su tacca?). Se tutto si ferma è un problema se qualcosa migliora magari sto solo preparandomj al salto...il grado prima o poi viene ma quella che va alimentata guardando il problema in modo opportuno è la motivazione. Con una ginocchiera moderna molte vie possono essere ammansite...ma questo è un reale miglioramento? Se serve a mantenere una lucida motivazione ben vengano gli sconti ma in un contesto di oggettiva valutazione di noi stessi. Siamo bombardati dalla necessità di ottenere non di fare e questo arena l'atleta. Purtroppo anche indoor non abbiamo quasi più posti dove allenarci con muri poveri di prese e tracciature tagliate sul gym bro, lontane dalla roccia. Il quadro è complicato perché il plateau è come una tesi di dottorato...siamo soli davanti a un problema e potremo prendere spunto da maestri, da amici e colleghi ma solo noi potremo trovare la soluzione...fino al prossimo plateau.
Interessanti riflessioni. E' vero, non possiamo definire la fase di stallo solo con la metrica del grado. Sopratutto non con il grado massimo che non è assolutamente un buon indicatore. E ripensandoci sono d'accordo anche con il fatto che il plateau può essere anche amico