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Il sogno di ogni scalatore


Estratto da Up Climbing n° 14, edito da Versante Sud, rubrica Jollypower.

Il modello di prestazione di uno sport è definito dalla somma dei vari elementi che concorrono, in varia percentuale, al conseguimento della performance.
Questo significa che ci sono molteplici fattori di prestazione che contribuiscono, alcuni di più, alcuni di meno, a produrre il risultato.
Ma quale fattore contribuisce più di tutti?
Restringiamo il campo alla sola scalata lead, che sia indoor o outdoor. Non consideriamo il boulder, e neppure le vie cosiddette “di boulder”.
A costo di risultare prolisso, quando tengo delle conferenze sul tema, rivolgo questa domanda al pubblico:
una fata (o un elfo) appare all’improvviso, dicendo che potrà farvi magicamente migliorare in una capacità scalatoria a vostra scelta, ma una soltanto. Quale scegliereste?
Pensa un attimo a cosa sceglieresti, prima di proseguire con la lettura.

A questo punto, in genere, le risposte sono varie, e non corrispondono esattamente a ciò che chiederei per me stesso.
* I primi che alzano la mano solitamente propongono aspetti mentali-emozionali. Questa è una buona scelta, perché sicuramente gli altri fattori come tecnica, forza, fluidità vanno velocemente a decadere quando si va nel panico, quando mancano concentrazione, imperturbabilità, coraggio, decisione, intuito. Se io avessi una fata amica, chiederei qualcosa di ancora più potente, una qualità che non sia solo necessaria ma anche sufficiente per la performance, che racchiuda dentro di sé tutte le altre. Quale? Vediamo prima le altre risposte tipiche.

* A questo punto qualcuno, sia tra le ragazze che tra i ragazzi, giura che se avesse molta più forza farebbe faville. Ma anche in questo caso si tratta di una condizione, sì necessaria, ma assolutamente non sufficiente per la prestazione: se non ho un buon rendimento, ossia spreco perché ho dei blocchi (per esempio stringo troppo gli appigli, scalo male, ho paura, non sento i piedi), con la forza ci farò ben poco. Su una macchina potente che ha le pasticche dei freni incollate ai dischi, per quanto possa spingere sull’acceleratore, procederò a rilento. Più che la forza pura, sarebbe più utile chiedere forza + rendimento (essere forti sprecando il meno possibile); ma abbiamo detto che in questo gioco si può chiedere un solo miracolo, non due.
* Alcuni vorrebbero possedere una tecnica sopraffina. Ma cosa ci faccio con la tecnica se non ho forza? Ah, un'altra cosa: quando sono acciaiato (più nordico: ghisato) la tecnica svanisce. Anche lo scalatore più bravo del mondo, quando è acciaiato, inizierà a ravanare.
* Altri, semplicemente, vorrebbero perdere peso

L’elenco delle qualità necessarie per migliorare la performance si potrebbe allungare molto. Il difficile è trovare una qualità che sia necessaria ma anche sufficiente. Affinché questo accada ci deve essere una identità tra questa qualità e la performance stessa. Cioè, in altre parole, deve essere una condizione che includa tutte le altre; solo in questo modo l’implicazione diventa reciproca: se ho questa qualità ottengo il risultato; se ottengo il risultato ho questa qualità. Ottengo il risultato se e solo se ho questa qualità.
Appare evidente come questa implicazione bidirezionale nei confronti della prestazione non sussista né con la forza, né con la tecnica, né con il coraggio, né con la concentrazione e nemmeno con la capacità di lettura della roccia, o di gestire l’ansia, e chi più ne ha più ne metta; tutte queste qualità servono eccome, ma di certo non bastano, se acquisite singolarmente.
Intanto la nostra fata sta aspettando, tra poco volerà via, e io devo sbrigarmi a esprimere un desiderio, che sia il più possibile una sintesi, un archetipo di tutto ciò che serve per salire in alto.
In questo gioco c’è una regola: posso chiedere di migliorare in una qualità “terrena”: non posso chiedere alla fatina di regalarmi i superpoteri di Spiderman o di annullare la gravità.

_Quello che chiederei io alla fata, è di non acciaiarmi_

O meglio, di acciaiarmi meno, visto che il “pumping”- questo il termine scientifico - non si potrà mai eliminare del tutto.
Ogni scalatore può facilmente ricordare tutte le vie che avrebbe potuto chiudere, se non si fosse acciaiato. Ogni scalatore ha perfettamente presente la sensazione degli avambracci che non stringono neppure i ronchioni. Il pumping è studiato anche nel motociclismo e nel windsurf ma in nessun altro sport il lavoro muscolare decade in modo così rapido e definitivo: lo scalatore acciaiato non riesce a tenere neppure la catena per moschettonare la sosta.
Il meccanismo per cui i piccoli muscoli dell’avambraccio vanno in tilt è diverso dal meccanismo per cui i grandi muscoli delle gambe o del tronco raggiungono la fatica muscolare.
Nel nostro caso, non è l’acido lattico (come per anni si è pensato), o l’esaurimento delle scorte di glicogeno o la diminuzione della capacità aerobica generale a interrompere l’esercizio del muscolo.
Sono le continue “strizzate” massimali isometriche, alternate a ben più brevi decontrazioni (stringo-stringo-stringo-lascio una frazione di secondo per agguantare la presa successiva, e poi di nuovo: stringo-stringo-stringo…) che schiacciano i vasi sanguigni limitando il ritorno venoso, come se le fibre che si inturgidiscono fungessero da laccio emostatico. A questo punto l’avambraccio non “respira” più. La capacità aerobica LOCALE si annulla (la CAL non ha nulla a che vedere con la vostra capacità di salire 1000 mt di dislivello in un tempo breve: quella è la capacità aerobica generale). Il muscolo non riesce più a de-ossigenare il sangue e il sangue non corre più a re-ossigenarsi: l’avambraccio soffoca, l’ossigeno che serve alla combustione viene a mancare e oltretutto anche il treno di impulsi che dovrebbe attivarlo va in tilt. Il muscolo giunge a una contrazione caotica non efficiente, simile a quella di un crampo.
Ma perché il “non acciaiarsi” rappresenta la sintesi di tutto ciò che serve per salire in alto?
Perché è una condizione che racchiude in sé stessa molti altri sotto-aspetti prestazionali. L’implicazione tra “non acciaiamento” e prestazione è (quasi) reversibile: se non mi acciaio vuol dire che ho scalato bene, che non ho avuto paura, che ho avuto forza e l’ho mantenuta, che sono rimasto lucido, che ho letto bene la roccia e via così.

E’ noto a tutti che se non ho paura (o ansia da prestazione) mi acciaio meno. Ma è anche vero che se non mi acciaio, mi viene meno paura! Se elimino il pumping mi tranquillizzo, mentre se sento gli avambracci gonfi sarò terrorizzato dallo spit sotto i miei piedi. Se non ho paura non mi acciaio, se non mi acciaio mi viene meno paura. Il pumping è sia causa che effetto dell’ansia. Nello stesso modo in cui il battito accelerato del cuore è un effetto dell’ansia, e sentire il battito accelerato è anche causa di ansia (per questo motivo, il doping più diffuso tra le persone che devono parlare in pubblico sono i beta-bloccanti, che non sono affatto un ansiolitico - gli ansiolitici infatti toglierebbero vivacità - ma semplicemente farmaci che stabilizzano il battito cardiaco). I messaggi provenienti dal corpo rassicurano (o terrorizzano) la mente e viceversa.

Se scalo bene mi acciaio meno. Ok, anche questo è lapalissiano. Ma ribaltiamo la questione. Quello che fa impressione è che tutti, anche i migliori scalatori del mondo, quando sono ghisati vedono decadere la loro tecnica, la fluidità, il movimento si sporca, commettono errori grossolani. Se e solo se non mi acciaio scalerò bene, e lo scalare bene è fondamentale per la prestazione.
Molti di voi ricorderanno il mitico filmato, reale e non montato, di Chris Sharma che libera Biographie, il primo 9a+ al mondo. Dopo 30 metri di resistenza agguanta al volo un grosso buco, lo prende, lancia un urlo liberatorio. Da qui in avanti ci sono 15 metri di 6b. La via è finita. Ma Chris è così acciaiato che inizia a ravanare come un pivello durante un corso di roccia.

Se e solo se non mi sono acciaiato mi rimarrà la forza per chiudere il tiro al mio limite fisico. Potrei non acciaiarmi senza avere forza? No, perchè la forza è una delle tante condizioni necessarie (ma non sufficienti) per non acciaiarmi: se è vero che posso acciaiarmi anche avendo tanta forza (il mondo è pieno di forzuti che si acciaiano), per non acciaiarmi ho bisogno di una base di forza (altrimenti ogni singolo passaggio mi risulterebbe massimale). Se non mi acciaio vuol dire che ho anche forza.
Quando sono acciaiato non vedo più nulla, perdo lucidità e intuito.
Quando sono acciaiato tutti gli automatismi e l’agire fluido e spontaneo che era stato faticosamente educato, spariscono. Vecchi errori riemergono. Anni di esercizio hanno creato nuovi e meravigliosi percorsi sinaptici che permettono “un agire spontaneo costruito, una incoscienza educata”: ebbene, basta una grossa ghisata per spegnerli.

In altre parole, si può dire che il “non acciaiarsi” racchiuda dentro di sé (quasi) tutti i fattori necessari alla prestazione. Il “non acciaiarsi” è la prestazione.
Vuol dire avere avambracci che respirano, vuol dire riposarsi dove gli altri si marciscono, vuol dire scrollare un braccio e sentire che torna nuovo. Vuol dire vincere.

Ok. Ma allora come ci dobbiamo allenare, per controllare il pumping?
Perchè il pumping (e questo lo abbiamo notato tutti) certe volte sembra sopraggiungere in maniera del tutto casuale, indipendentemente da quanto e come ci siamo allenati?
Talvolta ci sembra di non ghisarci mai, mentre altre volte ci ritroviamo gonfi come un melone acerbo.
Perché se fa freddo mi ghiso di più? Perchè se ho mangiato poco e male mi si aprono le mani prima ancora di essere acciaiato?
Questi e altri misteri del pumping, sono discussi nella mia rubrica “Jollypower”, nella rivista (cartacea) UP climbing, edita da Versante Sud



Commenti

Matteo Calledda ∙ 2 anni fa

sofismo

Richiedere di non acciaiarsi sembra proprio un trucco per chiedere in un'unica soluzione tutte le caratteristiche che occorrono allo scalatore per essere ultra performante. :)) Con un'unica richiesta chiedi forza, resistenza, coraggio, tecnica.

Jolly Lamberti
Jolly Lamberti ∙ 2 anni fa

sintesi perfetta di quello che volevo dire

Alberto Silvestri ∙ 1 anno fa

io sceglierei di non pensare più alla figa....

io sceglierei di non pensare più alla figa....

Paolo Demaldè
Paolo Demaldè ∙ 1 anno fa

Prendi i beta-bloccanti e non ci pensi più… 😂😂

Paolo Locatelli
Paolo Locatelli ∙ 9 mesi fa

l'invulnerabilità

forse chiederei di essere immune da infortuni

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