Nel mondo inanimato vale un principio per cui ogni cosa, se lasciata a se stessa, si muove cercando il minimo sforzo possibile. Quello che nel 1746 Eulero chiamò "sforzo", poi venne definito "azione", termine più appropriato per oggetti privi di coscienza. Il principio di minima azione funziona nella meccanica classica, nella relatività, e persino nella meccanica quantistica.
Paradossalmente, gli esseri umani sembrano seguire una legge opposta: quella del "massimo spreco". Basti pensare alle guerre, al traffico, alle liti con la fidanzata, alla burocrazia, eccetera.
Anche nella scalata l'essere umano, se non viene corretto, tende a seguire questa legge "del massimo sforzo". Istintivamente eseguiamo il movimento meno efficace, stringiamo le prese più del necessario, contraiamo muscoli che non servono, ci immaginiamo mostri che non esistono, rimaniamo bloccati in posizioni scomode, ci tiriamo su solo con le braccia.
Alcuni errori tecnici sono difficilmente curabili, altri, con il tempo, si sono radicati e hanno procurato un tale adattamento che correggerli ci farebbe peggiorare. Altri ancora, invece, come quelli che andrò a esaminare in queste pagine, si possono risolvere facilmente con un po' di esercizio.
Iniziamo dai piedi.
Noi non _abbiamo_ un corpo, noi _siamo_ il nostro corpo. Io non ho un piede che ravana alla ricerca di un appiglio, il piede non è uno strumento che utilizzo per salire, come la scarpa o la piccozza.
Io sono il mio piede. Io sono le mie dita. La roccia comincia dove finisco _io_ . Si fonde con me.
Se il piede è un corpo estraneo, scivola. Se io sono il mio piede, allora resterò attaccato.
Partiamo da questo presupposto e andremo lontano.
1) Il movimento della caviglia
Uno degli errori più frequenti dello scalatore di buon livello è la posizione della caviglia in +flessione plantare+, invece che dorsale, prima di caricare l'appoggio. Mi spiego meglio.
Eseguo una flessione plantare quando distendo la caviglia come una ballerina che deve camminare sulle punte: in pratica cerco di annullare l'angolo tra il dorso del piede e la tibia. La +flessione dorsale+, al contrario, avviene quando cerco di rendere il più acuto possibile l'angolo tra il dorso del piede e la tibia.
Per intenderci, quando guido la macchina: flessione plantare quando pigio su l' acceleratore. Flessione dorsale quando levo il gas.
+Durante la scalata, ogni volta che tolgo un piede per posizionarlo su un nuovo appoggio, aziono la caviglia: in questa fase (quando, cioè, il piede è scarico e sta ancora nell'aria) si dovrebbe flettere dorsalmente la caviglia, ovvero il piede dovrebbe assumere una posizione il più possibile a martello+ (in realtà l'angolo dovrebbe essere ancora più acuto) in modo tale da arrivare sull'appoggio con la caviglia carica come una molla compressa. Pronta per dare il gas.
Molti scalatori hanno automatizzato lo schema contrario: quando alzano la gamba, contestualmente distendono la caviglia; in questo modo si arriva sull'appoggio troppo "in punta di piedi", e l'appoggio non potrà essere caricato.
Dal punto di vista biomeccanico questo è un grave errore per due motivi:
1) Se la caviglia arriva sull'appoggio completamente estesa, non lo posso più caricare per imprimere forza e dunque attrito. La "molla" costituita dalla articolazione della caviglia è già a fine corsa. Così come non posso fare un salto partendo con la gamba e caviglia distesa, o non posso imprimere forza a un pugno partendo con il braccio dritto, così non posso _caricare_ un appoggio se ci arrivo con la caviglia che è già a "fine corsa".
2) L'attrito è la forza che si oppone allo scivolamento del piede. Nel nostro caso, quello che ci fa rimanere attaccati, è la componente della forza perpendicolare al piano dove poggiamo il piede. È evidente che, con il piede "da ballerina", annullo il vettore perpendicolare, dunque il piede avrà bisogno sempre di sporgenze orizzontali nette. +Se imparo a spalmare il piede arrivando sulla roccia in flessione dorsale+ la scarpetta potrebbe tenere ovunque, anche in piena aderenza.
Chi scala con il piede da ballerina, è sempre alla ricerca di appoggi con angoli netti, non è in grado di sentire la "spalmata in aderenza", né di eseguire il famoso primo passetto al centro.
Ci tengo a precisare che queste indicazioni non coincidono affatto con le consuete raccomandazioni "di tenere i talloni bassi". Caricare un appoggio alzando il tallone, per spingersi in alto verso un appiglio lontano, non è un errore. Non si può scalare tenendo i talloni bassi.
Quello che sto dicendo è che bisogna +arrivare+ sull'appoggio con il tallone che sta più in basso dell'appoggio stesso, per poi avere a disposizione tutto il range di escursione, per poterlo alzare nella fase di spinta, e imprimere forza e attrito sull'appoggio.
Esercizi:
1) Su una via facile, eseguire almeno 3 passi di piede ogni due spostamenti di mano: mano-mano-piede-piede-piede-mano-mano etc. Obbligare una "striscia" entro la quale eseguire questa camminata. Tale striscia di parete non deve essere più larga delle spalle e il suo centro deve essere sempre a piombo rispetto alla linea di forza della (o delle, se le due mani sono più o meno alla stessa altezza) mano che tira.
2) Su una via di media difficoltà (due o tre gradi sotto il proprio limite a vista) eseguire ogni alzata di piede esagerando la flessione in alto del piede (flessione dorsale), fino a giungere in catena con il muscolo tibiale anteriore indolenzito. Dopo qualche via, se si arriva alla sensazione di avere il tibiale "acciaiato", vuol dire che si é ben eseguito l'esercizio.
3) Scegliere una via con micro appoggi piccoli e non troppo netti. Eseguire la via o il percorso obbligando il cambio piede su ogni appoggio. Qualora il cambio piede non fosse vantaggioso per proseguire, eseguirlo nuovamente (tre cambi piede) per tornare alla posizione di partenza.
4) Scegliere una via o un percorso con prese molto buone per le mani. Parete verticale o poco strapiombante. Superficie del pannello o della parete ruvida. Eseguire più movimenti possibile, mettendo i piedi solo in aderenza, staccando il bacino dalla parete e creando una contrapposizione, tenendo il tallone basso e facendo aderire tutto l'avampiede frontalmente.
5) Su una placca molto poggiata: salire senza usare le mani o usandole solo in spinta (obbligo di mantenere le mani non più alte dell'anca).
*Continua prossimamente*
Paradossalmente, gli esseri umani sembrano seguire una legge opposta: quella del "massimo spreco". Basti pensare alle guerre, al traffico, alle liti con la fidanzata, alla burocrazia, eccetera.
Anche nella scalata l'essere umano, se non viene corretto, tende a seguire questa legge "del massimo sforzo". Istintivamente eseguiamo il movimento meno efficace, stringiamo le prese più del necessario, contraiamo muscoli che non servono, ci immaginiamo mostri che non esistono, rimaniamo bloccati in posizioni scomode, ci tiriamo su solo con le braccia.
Alcuni errori tecnici sono difficilmente curabili, altri, con il tempo, si sono radicati e hanno procurato un tale adattamento che correggerli ci farebbe peggiorare. Altri ancora, invece, come quelli che andrò a esaminare in queste pagine, si possono risolvere facilmente con un po' di esercizio.
Iniziamo dai piedi.
Noi non _abbiamo_ un corpo, noi _siamo_ il nostro corpo. Io non ho un piede che ravana alla ricerca di un appiglio, il piede non è uno strumento che utilizzo per salire, come la scarpa o la piccozza.
Io sono il mio piede. Io sono le mie dita. La roccia comincia dove finisco _io_ . Si fonde con me.
Se il piede è un corpo estraneo, scivola. Se io sono il mio piede, allora resterò attaccato.
Partiamo da questo presupposto e andremo lontano.
1) Il movimento della caviglia
Uno degli errori più frequenti dello scalatore di buon livello è la posizione della caviglia in +flessione plantare+, invece che dorsale, prima di caricare l'appoggio. Mi spiego meglio.
Eseguo una flessione plantare quando distendo la caviglia come una ballerina che deve camminare sulle punte: in pratica cerco di annullare l'angolo tra il dorso del piede e la tibia. La +flessione dorsale+, al contrario, avviene quando cerco di rendere il più acuto possibile l'angolo tra il dorso del piede e la tibia.
Per intenderci, quando guido la macchina: flessione plantare quando pigio su l' acceleratore. Flessione dorsale quando levo il gas.
+Durante la scalata, ogni volta che tolgo un piede per posizionarlo su un nuovo appoggio, aziono la caviglia: in questa fase (quando, cioè, il piede è scarico e sta ancora nell'aria) si dovrebbe flettere dorsalmente la caviglia, ovvero il piede dovrebbe assumere una posizione il più possibile a martello+ (in realtà l'angolo dovrebbe essere ancora più acuto) in modo tale da arrivare sull'appoggio con la caviglia carica come una molla compressa. Pronta per dare il gas.
Molti scalatori hanno automatizzato lo schema contrario: quando alzano la gamba, contestualmente distendono la caviglia; in questo modo si arriva sull'appoggio troppo "in punta di piedi", e l'appoggio non potrà essere caricato.
Dal punto di vista biomeccanico questo è un grave errore per due motivi:
1) Se la caviglia arriva sull'appoggio completamente estesa, non lo posso più caricare per imprimere forza e dunque attrito. La "molla" costituita dalla articolazione della caviglia è già a fine corsa. Così come non posso fare un salto partendo con la gamba e caviglia distesa, o non posso imprimere forza a un pugno partendo con il braccio dritto, così non posso _caricare_ un appoggio se ci arrivo con la caviglia che è già a "fine corsa".
2) L'attrito è la forza che si oppone allo scivolamento del piede. Nel nostro caso, quello che ci fa rimanere attaccati, è la componente della forza perpendicolare al piano dove poggiamo il piede. È evidente che, con il piede "da ballerina", annullo il vettore perpendicolare, dunque il piede avrà bisogno sempre di sporgenze orizzontali nette. +Se imparo a spalmare il piede arrivando sulla roccia in flessione dorsale+ la scarpetta potrebbe tenere ovunque, anche in piena aderenza.
Chi scala con il piede da ballerina, è sempre alla ricerca di appoggi con angoli netti, non è in grado di sentire la "spalmata in aderenza", né di eseguire il famoso primo passetto al centro.
Ci tengo a precisare che queste indicazioni non coincidono affatto con le consuete raccomandazioni "di tenere i talloni bassi". Caricare un appoggio alzando il tallone, per spingersi in alto verso un appiglio lontano, non è un errore. Non si può scalare tenendo i talloni bassi.
Quello che sto dicendo è che bisogna +arrivare+ sull'appoggio con il tallone che sta più in basso dell'appoggio stesso, per poi avere a disposizione tutto il range di escursione, per poterlo alzare nella fase di spinta, e imprimere forza e attrito sull'appoggio.
Esercizi:
1) Su una via facile, eseguire almeno 3 passi di piede ogni due spostamenti di mano: mano-mano-piede-piede-piede-mano-mano etc. Obbligare una "striscia" entro la quale eseguire questa camminata. Tale striscia di parete non deve essere più larga delle spalle e il suo centro deve essere sempre a piombo rispetto alla linea di forza della (o delle, se le due mani sono più o meno alla stessa altezza) mano che tira.
2) Su una via di media difficoltà (due o tre gradi sotto il proprio limite a vista) eseguire ogni alzata di piede esagerando la flessione in alto del piede (flessione dorsale), fino a giungere in catena con il muscolo tibiale anteriore indolenzito. Dopo qualche via, se si arriva alla sensazione di avere il tibiale "acciaiato", vuol dire che si é ben eseguito l'esercizio.
3) Scegliere una via con micro appoggi piccoli e non troppo netti. Eseguire la via o il percorso obbligando il cambio piede su ogni appoggio. Qualora il cambio piede non fosse vantaggioso per proseguire, eseguirlo nuovamente (tre cambi piede) per tornare alla posizione di partenza.
4) Scegliere una via o un percorso con prese molto buone per le mani. Parete verticale o poco strapiombante. Superficie del pannello o della parete ruvida. Eseguire più movimenti possibile, mettendo i piedi solo in aderenza, staccando il bacino dalla parete e creando una contrapposizione, tenendo il tallone basso e facendo aderire tutto l'avampiede frontalmente.
5) Su una placca molto poggiata: salire senza usare le mani o usandole solo in spinta (obbligo di mantenere le mani non più alte dell'anca).
*Continua prossimamente*
Commenti
gargaroz
∙ 8 anni fa
Ma mi faccia il piacere
Allo stesso tempo bisogna imprimere l'effetto lolotte nella spinta verso l'alto mantenendo il bacino roteato ma allineato o anche oltre la linea verticale passante per la mano nel senso opposto senza perdere il baricentro. macchette devo mette le mani addosso? comunque continuo a seguire, grazie maestro jolly lamberti
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