Riprendo il discorso fatto nei precedenti articoli sul rendimento.
La maggior parte delle persone, oggi più di ieri, arrampica in maniera contratta e legnosa e riesce a trasformare solo una piccolissima parte delle proprie potenzialità quando si trova sulla roccia vera.
Questo per molti motivi, tutti legati al fatto che nell’arte della scalata le componenti mentali-emozionali-tecniche sono predominanti rispetto a quelle fisiche.
La scalata non è una attività istintiva, anzi, l’istinto, soprattutto nelle prime fasi di apprendimento, ci porta a fare cose sbagliate. Se non si correggono subito, questi errori diventeranno cronici.
Faccio alcuni esempi.
L’istinto porta il principiante a contrarre troppo la parte superiore del corpo: stringere fino allo spasimo le prese con le mani, contrarre inutilmente i muscoli delle braccia, spalle, collo e schiena. Tirarsi su, per cercare inconsciamente di salvarsi la vita e non precipitare nel baratro, invece di abbandonarsi al vuoto e spingersi verso l’alto con le gambe ed i piedi, accarezzando le prese, lasciando che la tensione scivoli via verso il basso attraverso i piedi e le gambe.
Tutti i principianti scalano in uno stato di grande contrazione, quindi, la prima cosa che bisogna perseguire, al di là del risultato ( il fatto che un grado arrivi troppo presto può anche essere controproducente, se si scala male), è lo stato di rilassamento , cercato senza sforzo mentale per ottenerlo, ma tramite esercizio, pedante ripetizione, respirazione ( ricordarsi di espirare, visto che l’inspirazione è automatica anche sotto tensione mentre l’espirazione no).
Inutile continuare ad allenare la forza finché si scala visibilmente contratti.
Inutile avere come obbiettivo costante la riuscita, anche impacciata, di questo o quell’itinerario.
L’allievo che continua a pensare solo al Risultato, trascurando tutto il resto, non raggiungerà mai quello stato mentale che un giorno gli permetterà di raggiungere un risultato apprezzabile.
Un altro aspetto dello stesso problema, anche questo di difficile soluzione, soprattutto per il principiante, è quello di riuscire a scalare senza consapevolezza o intenzione, in automatico, affinché il calcolo razionale e analitico, troppo lento e costoso, non ostacoli la scalata rendendola legnosa o addirittura paralizzata.
Anche in questo caso l’istinto gioca contro di noi, poichè i movimenti fondamentali della scalata sono contro intuitivi: Il laterale non è un movimento istintivo, caricare il peso sugli alluci non è istintivo, non è istintivo allontanarsi dalla parete quando si muovono le gambe eccetera. Mentre, al contrario, è istintivo ritrovarsi in “sbandierata”, caricare i piedi “ a papera”, rimanere appiccicati alla parete come un bradipo su un eucalipto.
Nella prima fase dell’apprendimento della tecnica ( che può durare anche anni) è facile entrare in questo circolo vizioso: non conosco i movimenti corretti, dunque penso a quello che devo fare, ma se penso scalo ancora peggio perché non vado in automatico.
Alcuni metodi di insegnamento della tecnica, anche se giusti teoricamente, hanno portato a disastrosi effetti sul risultato (quasi la totalità egli allievi rimaneva per sempre su gradi molto bassi), questo perché tali metodi non facevano altro che stimolare il paralizzante calcolo analitico razionale fino a fargli prendere il sopravvento.
Anche in questo caso bisognerà agire prima che questa scalata anti-fluida si cronicizzi, con la pedante ripetizione e l’esercizio, finché la tecnica venga imparata ma poi dimenticata , assorbita al livello del corpo, diventando inconsapevole e automatica. Il movimento dovrà compiersi da solo, senza che una cervellotica analisi mentale lo guidi.
“ le sensazioni viscerali di persone esperte e ben allenate si basano su abilità inconsce il cui esercizio può essere ostacolato da un eccesso di riflessione”
“ le abilità motorie che padroneggiamo meglio sono affidate alle parti inconsce, e pensare coscientemente alla successione dei comportamenti interferisce col rendimento, anzi lo danneggia”
“Quando un uomo lancia una palla in aria e la riprende si comporta come se avesse risolto una serie di equazioni differenziali per prevederne la traiettoria (…) a livello subconscio stanno succedendo cose che equivalgono ai calcoli matematici”
Uno stato mentale troppo teso verso il risultato, oppure inibito dalla paura di cadere, rende il “terreno” mentale pochissimo fertile alla fioritura del processo intuitivo automatico.
L’intenzione di agire ci ritarda e ci ostacola al movimento fluido
L’intenzione di riuscire ci allontana dallo stato mentale ottimale ( stato di grazia) e dal rilassamento.
La soluzione sarà, anche in questo caso, il rilassamento, la respirazione, l’imitazione, la pedante ripetizione e l'esercizio, lasciando in secondo piano il Risultato ( cosa questa difficilissima da chiedere allo scalatore assetato di grado), finché tutta la tecnica non sprofondi nell’hardware e vada a nutrire quella parte di noi che ci fa sudare, allargare la pupilla, battere il cuore.
Se c’è troppa intenzione, se la volontà è troppo volitiva, se si vogliono bruciare le tappe e il Risultato è l’unico scopo, paradossalmente, ci si allontana ancora di più da quello scopo tanto agognato.
In allenamento non conta sempre “ arrivare su” “ chiudere una via” “ fare un percorso di 6c”..eccetera.
In allenamento l’obbiettivo deve essere di esercizio: devo esercitarmi sulla visualizzazione. Devo esercitarmi sulla scalata fluida. Devo eseguire bene il laterale. Chissenefrega se ho chiuso un 6c, se il fine dell’esercizio era ricordarsi tutti i movimenti. Ma anche: chissenefrega se ti sei ricordato tutti i movimenti, se non li hai visualizzati, e l’esercizio richiedeva di imparare a visualizzare .
Bisognerà dunque continuare a esercitarsi senza fretta ma senza sosta, e solo quando sarà giunto il momento di capitalizzare il lavoro fatto, si dovrá puntare con decisione e volontá verso il risultato ( gara, grado) portandosi veramente al limite, fino a scavalcarlo, con tutte le forze possibili, senza alibi.
Solo quando si allontana la mente dal pensiero fisso del traguardo, la freccia raggiungerà il centro del bersaglio.
Per approfondire:
Benjamin Libet. "Mind Time". Raffaello Cortina editore.
Gerard Gigerenzen. "Decisioni Intuitive". Raffaello Cortina editore.
Eugen Herrigel. "Lo zen e il tiro con l'arco". Adelphi editore.
La maggior parte delle persone, oggi più di ieri, arrampica in maniera contratta e legnosa e riesce a trasformare solo una piccolissima parte delle proprie potenzialità quando si trova sulla roccia vera.
Questo per molti motivi, tutti legati al fatto che nell’arte della scalata le componenti mentali-emozionali-tecniche sono predominanti rispetto a quelle fisiche.
La scalata non è una attività istintiva, anzi, l’istinto, soprattutto nelle prime fasi di apprendimento, ci porta a fare cose sbagliate. Se non si correggono subito, questi errori diventeranno cronici.
Faccio alcuni esempi.
L’istinto porta il principiante a contrarre troppo la parte superiore del corpo: stringere fino allo spasimo le prese con le mani, contrarre inutilmente i muscoli delle braccia, spalle, collo e schiena. Tirarsi su, per cercare inconsciamente di salvarsi la vita e non precipitare nel baratro, invece di abbandonarsi al vuoto e spingersi verso l’alto con le gambe ed i piedi, accarezzando le prese, lasciando che la tensione scivoli via verso il basso attraverso i piedi e le gambe.
Tutti i principianti scalano in uno stato di grande contrazione, quindi, la prima cosa che bisogna perseguire, al di là del risultato ( il fatto che un grado arrivi troppo presto può anche essere controproducente, se si scala male), è lo stato di rilassamento , cercato senza sforzo mentale per ottenerlo, ma tramite esercizio, pedante ripetizione, respirazione ( ricordarsi di espirare, visto che l’inspirazione è automatica anche sotto tensione mentre l’espirazione no).
Inutile continuare ad allenare la forza finché si scala visibilmente contratti.
Inutile avere come obbiettivo costante la riuscita, anche impacciata, di questo o quell’itinerario.
L’allievo che continua a pensare solo al Risultato, trascurando tutto il resto, non raggiungerà mai quello stato mentale che un giorno gli permetterà di raggiungere un risultato apprezzabile.
Un altro aspetto dello stesso problema, anche questo di difficile soluzione, soprattutto per il principiante, è quello di riuscire a scalare senza consapevolezza o intenzione, in automatico, affinché il calcolo razionale e analitico, troppo lento e costoso, non ostacoli la scalata rendendola legnosa o addirittura paralizzata.
Anche in questo caso l’istinto gioca contro di noi, poichè i movimenti fondamentali della scalata sono contro intuitivi: Il laterale non è un movimento istintivo, caricare il peso sugli alluci non è istintivo, non è istintivo allontanarsi dalla parete quando si muovono le gambe eccetera. Mentre, al contrario, è istintivo ritrovarsi in “sbandierata”, caricare i piedi “ a papera”, rimanere appiccicati alla parete come un bradipo su un eucalipto.
Nella prima fase dell’apprendimento della tecnica ( che può durare anche anni) è facile entrare in questo circolo vizioso: non conosco i movimenti corretti, dunque penso a quello che devo fare, ma se penso scalo ancora peggio perché non vado in automatico.
Alcuni metodi di insegnamento della tecnica, anche se giusti teoricamente, hanno portato a disastrosi effetti sul risultato (quasi la totalità egli allievi rimaneva per sempre su gradi molto bassi), questo perché tali metodi non facevano altro che stimolare il paralizzante calcolo analitico razionale fino a fargli prendere il sopravvento.
Anche in questo caso bisognerà agire prima che questa scalata anti-fluida si cronicizzi, con la pedante ripetizione e l’esercizio, finché la tecnica venga imparata ma poi dimenticata , assorbita al livello del corpo, diventando inconsapevole e automatica. Il movimento dovrà compiersi da solo, senza che una cervellotica analisi mentale lo guidi.
“ le sensazioni viscerali di persone esperte e ben allenate si basano su abilità inconsce il cui esercizio può essere ostacolato da un eccesso di riflessione”
“ le abilità motorie che padroneggiamo meglio sono affidate alle parti inconsce, e pensare coscientemente alla successione dei comportamenti interferisce col rendimento, anzi lo danneggia”
“Quando un uomo lancia una palla in aria e la riprende si comporta come se avesse risolto una serie di equazioni differenziali per prevederne la traiettoria (…) a livello subconscio stanno succedendo cose che equivalgono ai calcoli matematici”
Uno stato mentale troppo teso verso il risultato, oppure inibito dalla paura di cadere, rende il “terreno” mentale pochissimo fertile alla fioritura del processo intuitivo automatico.
L’intenzione di agire ci ritarda e ci ostacola al movimento fluido
L’intenzione di riuscire ci allontana dallo stato mentale ottimale ( stato di grazia) e dal rilassamento.
La soluzione sarà, anche in questo caso, il rilassamento, la respirazione, l’imitazione, la pedante ripetizione e l'esercizio, lasciando in secondo piano il Risultato ( cosa questa difficilissima da chiedere allo scalatore assetato di grado), finché tutta la tecnica non sprofondi nell’hardware e vada a nutrire quella parte di noi che ci fa sudare, allargare la pupilla, battere il cuore.
Se c’è troppa intenzione, se la volontà è troppo volitiva, se si vogliono bruciare le tappe e il Risultato è l’unico scopo, paradossalmente, ci si allontana ancora di più da quello scopo tanto agognato.
In allenamento non conta sempre “ arrivare su” “ chiudere una via” “ fare un percorso di 6c”..eccetera.
In allenamento l’obbiettivo deve essere di esercizio: devo esercitarmi sulla visualizzazione. Devo esercitarmi sulla scalata fluida. Devo eseguire bene il laterale. Chissenefrega se ho chiuso un 6c, se il fine dell’esercizio era ricordarsi tutti i movimenti. Ma anche: chissenefrega se ti sei ricordato tutti i movimenti, se non li hai visualizzati, e l’esercizio richiedeva di imparare a visualizzare .
Bisognerà dunque continuare a esercitarsi senza fretta ma senza sosta, e solo quando sarà giunto il momento di capitalizzare il lavoro fatto, si dovrá puntare con decisione e volontá verso il risultato ( gara, grado) portandosi veramente al limite, fino a scavalcarlo, con tutte le forze possibili, senza alibi.
Solo quando si allontana la mente dal pensiero fisso del traguardo, la freccia raggiungerà il centro del bersaglio.
Per approfondire:
Benjamin Libet. "Mind Time". Raffaello Cortina editore.
Gerard Gigerenzen. "Decisioni Intuitive". Raffaello Cortina editore.
Eugen Herrigel. "Lo zen e il tiro con l'arco". Adelphi editore.
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