Come sempre accade quando il sistema da esaminare è troppo complesso o troppo esteso, si utilizzano dei campioni di questa popolazione e si ricorre al metodo statistico. Tale metodo non è peraltro arbitrario e relativo in quanto porta, di solito, a conclusioni quasi certe, dove quel quasi sta a considerare dei margini di errore che diminuiscono fino ad annullarsi estendendo l'esame a tutta la popolazione. Noi vediamo, però, che spesso, anche esaminando campioni piccoli di una popolazione, si arrivi a margini di errore di pochi punti percentuali.
Immaginiamo una grande gara di boulder tipo il Superbloc di Parma o il Melloblocco. Cinquecento persone affrontano 50 problemi. Tutti li provano tutti. Un blocco è salito da 10 persone, un altro da 50, un altro è riuscito da 100. Quello salito solo da 10 persone è più difficile. Secondo questa definizione la difficoltà viene assegnata oggettivamente da questo metodo statistico. Quel masso è duro 80% (quindi molto facile) oppure 1% (difficilissimo) etc.
Inseriamo dentro anche il fattore "tempo di lavoro per fare una via" approssimandolo col numero di tentativi. Prendiamo le dieci persone che hanno fatto Action Directe, le stesse dieci persone hanno in comune la riuscita di altri 9°. Come faccio ad usare questo metodo, che considera soprattutto la "non riuscita", se tutti e dieci hanno fatto (poniamo) le stesse dieci vie di 9a? Semplice: pongo un limite di tentativi. Facciamo un esperimento ideale: con un massimo di 10 tentativi risulta che: 1) nessuno ha salito Action Directe (Ondra, uno dei piu veloci, ha impiegato 15 tentativi solo per imbroccare il lancio iniziale); 2) otto hanno salito Cinematix; 3) quattro hanno salito Estado critico; etc.
In nessun modo, neanche secondo questa definizione di difficoltà, qualcuno potrà arrogarsi il diritto di dire "quella via per me è 8a per te è 7b". La nostra incapacità di fare una misurazione senza errore non nega che tale misura esista.
Il metodo statistico, a mio parere, è il miglior modo per dire se una via è più o meno dura di un'altra. I gradi spesso sono sbagliati, sia nel bouldering che nella falesia, perché vengono decisi da una persona sola, come un ginnasta che (per giunta in allenamento) decida lui stesso quanto bene ha eseguito l'esercizio.
Nel caso dei gradi massimi, spesso sono sbagliati anche perché raramente i ripetitori svalutano le vie più dure (per paura di dover rinunciare cosí alle moine del pubblico e degli sponsor).
I gradi sono sbagliati perché non si prova ad applicare il metodo statistico di elaborazione dati sperimentali basato sul rapporto tra persone che tentano e persone che riescono (neanche in maniera approssimativa, tipo considerare che se, in un ambiente relativamente chiuso come quello dei frequentatori di una data falesia, un 8a lo liberano in pochi tentativi tutti quelli che lo tentano, forse quella via potrebbe essere più facile).
I gradi sono sbagliati perché si usa, invece, in maniera impropria, un principio "umanistico" estetico basato sulla "sensazione" e sul dogma imposto dagli autori delle guide.
I gradi sono sbagliati, infine, perché si utilizza in maniera impropria il principio di comparazione tra le vie: A è 8a, B è più difficile di A quindi è 8a+. Qui sta l'errore! La nostra scala, infatti, ha troppi pochi livelli, dunque molte vie possono essere una più difficile dell'altra pur avendo lo stesso grado. Questo avviene soprattutto per le cosiddette concatenazioni. Un 8c sommato ad un altro 8c deve essere per forza più duro, quindi è 9a. Non è vero per forza. Se si usasse, invece, una scala di misurazione più granulare, potrebbe apparire che la somma delle due vie dia 8c,5. Ossia sempre un 8c, se misurato con la vecchia scala a maglia più grossa, ma un 8c duro.
Io conosco molte vie di grado 8a che possono essere messe in ordine per difficoltà dalla più facile alla più difficile, e gli errori spesso scaturiscono semplicemente dal fatto che sto misurando una cosa con un metro che ha i soli centimetri e non i decimi di centimetro.
Commenti
fabio roscioli ha scritto
Sono convinto che ognuno di noi si sia trovato in falesia ad affrontare vie il cui grado non corrispondeva a quello che ci veniva rappresentato (sulle guide o accanto al nome della via stessa). Secondo il mio punto di vista il problema del grado, per gli arrampicatori meno esperti, si pone in funzione della sicurezza, in quanto colui che si trova ad affrontare una via astrattamente al proprio limite, ma gradata al ribasso, può trovarsi in situazioni di potenziale pericolo per la propria incolumità, ancorché il rischio possa essere limitato a qualche piccola lesione alle dita o danni fisici di altra natura ma pur sempre contenuti.
Il problema del grado, per gli arrampicatori più esperti, si pone principalmente in funzione della misurazione del proprio ego. Conseguita una via, si prende con soddisfazione il grado di riferimento; poi, man mano cha la eseguono gli altri (magari considerati più deboli), si tende a sgradarla, con pregiudizio del sistema di valutazione. A tacer d'altro.
Personalmente, trovo geniale l'elaborazione del metodo statistico, perché la sua applicazione consente, o meglio, consentirà nel tempo di sostituire giudizi personali con una più attenta ed oggettiva valutazione. Inoltre, e non da ultimo, l'esposizione pubblica delle vie salite, da mero esercizio di protagonismo fine a se stesso, se funzionale all'inserimento dei dati nel sistema, si trasforma in meccanismo virtuoso di valutazione collettiva.
ghisino ha scritto: "quanti"
io trovo molto interessante la domanda "quanti salgono?".
in un certo senso rimette l'arrampicatore al centro. E' quasi più umanista del "grado-sensazione".
Mi spiego : c'é una fase in cui la difficoltà viene pensata come attributo fondamentale della roccia. Una sorta di determinismo del grado, in cui la tal via é 6c perché ha gli appigli di una certa forma e dimensione, perché strapiomba di tot gradi, etc.
In base a questa impostazione potremmo chiederci in tutta serietà che grado salgono le scimmie di Hampi, senza sorridere per la natura paradossale della questione.
Invece il grado definito dagli esperimenti sul numero di salitori o sui tentativi dipende strettamente dalla specie umana, ma non solo, dalla stessa evoluzione dell'arrampicata, delle tecniche di scalata, di allenamento, dei materiali, dai suoi valori, dalle sue convenzioni, dai suoi miti, in una parola dalla sua "cultura"
Se la specie umana avesse dita più deboli e grandi muscoli più forti, dovremmo sgradare tutte le vie di strapiombo su grosse prese.
Se il fodamentale assoluto dell'arrampicata fosse il lancio e tutti i principianti alla ricerca delle origini scaricassero "Stone Monkey" anziché "Metamorfosi" e "La vie au bout des Doigts", Three Degrees of Separation non sarebbe una famosa via di Sharma, bensí un rispettabile tiro per arrampicatori "fortini", magari persino un'iniziazione all'alto livello.
Inoltre in appendice questo grado "statistico" dipende da alcune variabili...che hanno poco a che fare con la roccia, ma molto a che fare con l'esperienza della salita. Se alcune particolari condizioni ripetute. influenzano le difficoltà mentali o logistiche o percettive che una via pone, tali condizioni verranno espresse dalla statistica.
Ad esempio :
Se una certa falesia offrisse condizioni ideali 12 mesi l'anno, farebbe registrare più successi di una sua "gemella" situata in un luogo perennemente umido e caldo.
Se una falesia fosse sempre popolata da locals estremamente intimidatori, dispettosi e in grado di esercitare una vera "sudditanza psicologica" le sue vie sarebbero più difficili rispetto alla stessa falesia piena di arrampicatori in vacanza, rilassati e sempre prodighi di umanità e di (buoni) consigli sui metodi.
L'arrampicatore che esalta le proprie unicità rispetto alla massa, inoltre, é meglio valorizzato, a tutti i livelli : dal principiante (e forse é un male), all'arrampicatore esperto che sviluppa un suo stile, una sua identità (bene), al top climber visionario che propone qualcosa che mai s'era visto e che gli altri impiegheranno un po' per imitare (benissimo)