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Sfruttare i punti di riposo

 Saper sfruttare punti di riposo naturali è di fondamentale importanza per la riuscita di un itinerario. Non è  vero che la velocità sia una strategia sempre efficace: quando la via lo permette, bisogna trovare i punti in cui potersi fermare e prendersi tutto il tempo necessario per riprendere fiato. Bisogna dividere la via in "stazioni strategiche" dove poter riprendere fiato, caricarsi e prepararsi per la sezione successiva.
I "Knee bar"
Da noi chiamati "incastri di ginocchio": consistono nel fare una leva tra il piede e il ginocchio (o il quadricipite), come con quelle sbarre che si montano tra le porte,  puntando un piede su un appoggio e la coscia contro una sporgenza. Cosí, spingendo con il piede si "allunga" la "sbarra" fino a mandarla a pressione. A questo punto la tensione degli addominali sarà sufficiente da sola a sostenere gran parte del peso del corpo, permettendo di rilassare mani e braccia. Con un doppio "Knee bar"  (tutte e due le gambe incastrate)  di solito si riescono a mollare entrambe le mani.

Il terreno tipico dell' incastro di ginocchio è lo strapiombo con grosse canne, dove è abbastanza facile trovare punti in cui fare leva con il ginocchio o con la coscia. Ci vuole più maestria, invece, per trovare buone leve anche laddove non ci siano grandi stalattiti: gli scalatori americani sono maestri di questa tecnica, tanto che hanno inventato uno speciale "knee pad", una protezione in neoprene da mettere sul quadricipite per proteggere e incastrare meglio la gamba. Nella falesia di Rifle, in Colorado, la maggior parte delle vie dure si risolvono con "knee bar", e non ci sono canne! La maggior parte degli incastri vengono effettuati contrapponendo la spinta del piede (quasi in aderenza) a quella del ginocchio "puntellato" contro spigoli o tettini.

 

Incastro di piede o tallonaggio
Incastrando un piede in un buco oppure agganciando il tallone su una grossa sporgenza si riesce talvolta ad utilizzare la gamba in trazione, come fosse "un terzo braccio". In questo modo si può mollare un braccio e poi l'altro, alternandoli, e senza però sovraffaticare quello che rimane bloccato.

 

Come agire nei punti di riposo: le tecniche di decontrazione muscolare
Appare evidente come in un punto di riposo parziale1  sia assolutamente sbagliato cercare di riposare restando fermi con tutte e due le mani sugli appigli. In questo modo, infatti, la costante contrazione isometrica produce, oltre che affaticamento, anche una progressiva ostruzione del flusso sanguigno, rendendo cosi difficile lo smaltimento dell'acido lattico accumulato. Quello che non appare evidente è come fare per riuscire a "riposarsi" effettivamente.

 

Tecnica di riposo tradizionale
Il modo più usato dagli scalatori evoluti è quello di dondolare giù un braccio per volta, dai 3 ai 5 secondi per volta. Non è dimostrato da alcuno studio sperimentale se sia più utile "sgrullare " il braccio mentre sta giù o tenerlo fermo, ma la maggior parte degli scalatori usa il metodo delle "sgrullate alternate". Anche la diffusa pratica di "fare stretching" all'avambraccio spingendo le dita contro la parete non ha una efficacia dimostrata. Alcune considerazioni:


se l'appiglio lo permette, è utile mantenere una impugnatura a dita distese mentre si riposa, cercando di tenere "di pelle"2;
è utile cambiare spesso anche la posizione del corpo, se la parete lo permette, alternando cosi non solo le braccia ma anche gli altri gruppi di muscoli (per esempio alternando la gamba sulla quale sta la maggior parte del peso).

 

Tecnica di riposo "G-Tox"
Promossa dallo scalatore e studioso di allenamento  Eric J. Horst3, questa tecnica si basa su un principio molto semplice: mantenendo le braccia giù quando sono in decontrazione, la gravità aiuta l'afflusso di nuovo sangue agli avambracci, ma ne rallenta il ritorno venoso. Il sangue "vecchio" farebbe più fatica a risalire fuori dal muscolo. Per fare in modo che la gravità aiuti in tutti e due i sensi questo "pompaggio" per ripulire il sangue dall'acido lattico bisognerebbe, secondo Horst, alternare 5 secondi di riposo a braccio in alto, poi 5 secondi a braccio in basso, prima di cambiare braccio: la gravità (G) in questo modo aiuterebbe a smaltire le tossine (Tox).

Uno studio di un ricercatore inglese4 sembra confermare questa teoria. Sono stati messi a confronto i due metodi ed effettuate verifiche, sia misurando il lattato nel sangue che la forza nella mano dopo i due tipi di riposo: i risultati mostrano un significativo miglioramento della capacità di recupero nel gruppo che aveva utilizzato il metodo "G-Tox". Resta da dimostrare però  se il minor "acciaiamento" dell'avambraccio non venga compensato negativamente da un maggior affaticamento dei muscoli della spalla (tenere le braccia alzate, soprattutto su pareti molto strapiombanti, stanca  deltoide e trapezio).



Quanto tempo rimanere nei punti di riposo 
La durata ottimale del riposo è proporzionale alla "comodità" dello stesso . Bisogna però considerare che un riposo non è buono o cattivo in assoluto, ma è relativo alla forza, resistenza e tecnica dello scalatore: quello che per Chris Sharma può essere un riposo buono, per un altro potrebbe risultare un passaggio impossibile. Per capire quanto si deve restare a riposare bisogna tenere conto della curva di ripristino delle condizioni iniziali:


nel caso di un riposo totale questa curva è sempre ascendente, cioè più passa il tempo e più si ripristinano le condizioni di forza iniziali. Bisogna rimanere a riposare il più tempo possibile, compatibilmente con le condizioni esterne (piedi che fanno male, freddo..) e interne (motivazione che cala etc.). Tempo di permanenza: anche mezz'ora/un'ora;
nel caso di un riposo parziale buono, questa curva, inizialmente ascendente, ad un certo punto tende a stabilizzarsi, prima che le condizioni si siano del tutto ripristinate, e da quel momento in poi non si recupera più. Bisognerebbe ripartire non appena la curva si è stabilizzata. Tempo di permanenza: 5-20 minuti;
nel caso di un cattivo riposo parziale, la curva, inizialmente ascendente, raggiunto un picco comincerà a scendere riportandoci ad un peggioramento delle condizioni: se non sapremo cogliere quel momento potremmo ripartire più stanche di come eravamo arrivati. Tempo di permanenza: pochi minuti;
nel caso di un pessimo riposo parziale, la curva non sarà mai ascendente, ma rimarrà costante per pochi secondi per poi decrescere: in questo caso potrebbe comunque essere vantaggioso fermarsi, perché anche se le condizioni di forza e di lattato non sono mutate, la respirazione e il battito cardiaco sono comunque leggermente calati. Tempo di permanenza: pochi secondi.

Per "riposi" ancora peggiori ovviamente non conviene fermarsi, sarebbe come voler "allungare" la via con altri movimenti duri.

 

Decontrarre durante lo sforzo

Riuscire a stringere le prese non più del dovuto, riuscire a contrarre solo i muscoli necessari allo sforzo, riuscire a dosare e coordinare lo sforzo tra i vari distretti muscolari nella maniera più efficiente possibile: questo, è stato detto più volte, è il vero segreto per durare. Solo lo scalatore più raffinato è in grado di "sentire" (anche mentre scala e non solo nei punti di riposo) che sta "allentando" un poco la mano sinistra mentre tira con la destra, che sta rilassando braccia collo e schiena facendo "scivolare" la tensione giù verso le gambe riuscendo addirittura a riposare alcuni distretti muscolari senza dover mollare la presa. La maggior parte dei nuovi climbers frutto delle sale boulder neanche sa quale sia la sensazione  dell'alternanza sinergica di contrazione e decontrazione di muscoli agonisti ed antagonisti.

Questo tipo di sensibilità per cosi dire "propriocettiva" è la cosa che più serve nella scalata di falesia ed è la cosa che più manca alle nuove generazioni di climbers.

Causa di questo male è il proliferare del bouldering tra i principianti: attività bella e nobile ma assolutamente non propedeutica alla scalata di falesia.  Per il blocchista infatti è necessaria e utile una tensione sempre massima, una esplosione di potenza che dura pochi secondi e che non c'è bisogno di dosare, e questo porta ad una totale inibizione dei meccanismi di controllo della forza. Al boulderista non arriva (non si è adattato a questo perché non ne ha bisogno, anzi per lui è un errore)  in maniera automatica il segnale che sta stringendo troppo quella presa e che può mollare un poco. Imparare la scalata partendo dal bouldering  è come voler imparare a sciare in palestra facendo lo Squat.

 

Brano tratto dal libro "Jollypower" edizioni Versante Sud



1 Il riposo parziale è quel riposo nel quale non si possono staccare entrambe le mani contemporaneamente per riposare, oppure, nel caso ci si riesca, questo comporti un notevole affaticamento di altri gruppi muscolari (addominali, lombari, gambe) tale da non renderlo conveniente

2 La posizione a dita arcuate obbliga il muscolo dell'avambraccio a rimanere molto più contratto.

3 Articolo pubblicato su www.nicros.com

4 Luke Roberts, University College Chichester, U.K. Pubblicato in parte sul sito citato sopra

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